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- Titolo Originale: 미지의 서울
- Conosciuto Anche Come: Mijiui Seoul , Seoul, the Unknown , Unknown Seoul
- Regista: Park Shin Woo
- Sceneggiatore: Lee Kang
- Generi: Romantico, Vita
Cast & Ringraziamenti
- Park Bo YoungYoo Mi Ji | Yoo Mi RaeRuolo Principale
- Park Jin YoungLee Ho SuRuolo Principale
- Ryu Kyung SooHan Se JinRuolo Principale
- Lee Jae InYoo Mi Ji | Yoo Mi Rae [Teen]Ruolo di Supporto
- Im Chul SooLee Chung Gu [Ho Su’s senior]Ruolo di Supporto
- Jang Young NamKim Ok Hui [Mi Ji and Mi Rae’s mother]Ruolo di Supporto
Recensioni

Disarmonia kills Tao
7 persone hanno trovato utile questa recensione
La parola come cura: l’eleganza profonda di Our Unwritten Seoul
regia: 8 sceneggiatura: 8,5 dialoghi:9 scenografia: 8,5Racconto di formazione intimo e complesso, molto ben sceneggiato, di due famiglie con il focus su due gemelle: Mi-rae e mMi-ji, omozigoti d'aspetto ma opposte come personalità, laddove una è introversa, rigida e schiva, l'altra è solare, vivace e aperta.
Il drama, disponibile su piattaforma netflix, è composto da 12 episodi da 80 minuti, ciascuno per un totale di 16 ore complessive totali. Un formato che personalmente non ho apprezzato perché troppo lungo e avevo dei fisiologici crolli di attenzione.
Non è un drama da binge watching perché va gustato, capito, compreso ed elaborato, in quanto per i primi 9-10 episodi è prevalentemente un drammatico, con continui drammi e patemi, alcuni eventi traumatici presenti e passati non danno respiro. Poi iniziano a chiarirsi dei malintesi, perché fondamentalmente l'opera poggia all'80% su malintesi e omissioni, in perfetto stile coreano (questo aspetto è stato meno apprezzabile), iniziano a riprendersi del rapporti interrotti e quelli che non si erano interrotti riprendono in modo più disteso, sfociando nella risoluzione dei conflitti interiori e relazionali, nel ricongiungimento con i familiari e in nuovi progetti di vita. Resilienza è la parole d'ordine, saper reagire alle difficoltà che la vita ti pone davanti e godere della vita così come è, con i suoi piccoli alti e bassi.
É un percorso di formazione e "autocura" grazie al valore inestimabile delle relazioni.
I temi affrontati sono innumerevoli: dinamiche familiari, sentimentali, gestione del trauma, traumi generazionali, gestione della maternità, scambio di identità, disabilità e malattia, demenza e gestione dell'anziano, hikikomori e disturbi di ansia, mobbing, famiglia ed aspettative sociali, legalità, etica delle professioni legali, identità, furto d'identità, senso di colpa e responsabilità, autodeterminazione e realizzazione personale e professionale.
Psicologia dei personaggi principali:
Mi‑ji, ex promessa dell’atletica, rifugge nel ritiro sociale cronico prolungato (hikikomori) dopo un infortunio che ha interrotto i suoi sogni. La sua chiusura emotiva e sociale è legata anche alla malattia della nonna di cui si ritiene responsabile, la serie mostra come un trauma personale possa imprigionare l’interazione con il mondo esterno. La sua identità è legata alla perfomance ("Solo se sono brava in qualcosa verrò vista e considerata").
Mi‑rae, perfezionista e con bassa autostima, è vittima di mobbing sul lavoro. La sua depressione emerge in modo crudo, culminando in pensieri suicidi e di isolamento emotivi, il tutto raccontato con un realismo quasi clinico.
Ho-su: orfano dei genitori e compagno di scuola delle due ragazze, disabile a seguito di un incidente, reca con sé profondi vissuti di inadeguatezza e senso di colpa per la morte del padre e nei riguardi della madre adottiva.
La madre delle gemelle: vittima di un malinteso infantile si sente indesiderata e oggetto di risentimento materno, vive la maternità in modo conflittuale, ambivalente, contrassegnata da un profondo sentimento di inadeguatezza che viene trasmesso alle figlie.
La madre di Ho-su: una donna gentile, comprensiva, matura, con grande lungimiranza e senso di autosacrificio, vive la maternità con tatto e discrezione, facendo emergere quasi il timore di imporsi e la voragine interiore relativa al mancato senso di accettazione e riconoscimento del suo ruolo di madre.
Processi:
L’idea dello scambio delle vite è nata come gesto di cura familiare ma diventa un laboratorio psicologico esperienziale attraverso il quale ogni sorella affronta l’altro universo emotivo e sociale per comprendere e guarire se stessa attraverso il confronto con il proprio mondo interiore.
Questo scambio da principio è una fuga poi diventa un percorso mutualmente terapeutico. Si mette in gioco identità e relazioni traumatiche per aprire spazi nuovi che rendono possibili riflessioni empatiche e nuovi percorsi di pensiero.
Trauma intergenerazionale
Il lutto della nonna (Wol-sun), l’identità nascosta di Ro‑sa (Sang‑wol) e l’emarginazione di Ho‑su danno corpo alla trama: ogni personaggio porta ferite personali che consolidano il messaggio di guarigione collettiva e memoria condivisa .
Resilienza come pratica esistenziale
Ho‑su, avvocato con deficit sensoriale di tipo uditivo, irradia empatia: impara la LIS, difende le vittime, perde occasioni ma trova poi un senso. La sua storia contrappone il successo sterile all'umanità autentica.
Evoluzioni psicologiche e contenutistiche di tutti i personaggi.
ASPETTI TECNICI
La cinematografia è uno degli elementi più elogiati della serie e gioca un ruolo chiave nella costruzione del tono emotivo, nella caratterizzazione dei personaggi e nella rappresentazione tematica del doppio, dell’identità e della città come spazio vivo e mutevole, l'approccio naturalistico e controllato usa con cura la luce per differenziare le due gemelle protagoniste e i loro ambienti.Il Direttore della fotografia è Jung Ji-hyun ("My Mister" e "When the Camellia Blooms") .
Il contrasto tra Yoo Mi-ji (impulsiva, libera, provinciale) e Yoo Mi-rae (disciplinata, urbana, controllata) si esprime visivamente con il color grading :
Mi-ji viene proposta con toni caldi, seppia, arancioni e l'utilizzo di una luce morbida; riprese ambientate nella campagna o in zone residenziali poco urbanizzate.
Mi-rae proposta con toni freddi, grigi-blu, luce dura e tagliente; il contesto è quello degli ambienti urbani, uffici, e una Seoul presentata attraverso i suoi edifici di vetro e cemento.
L’uso della differenziazione cromatica narrativa aiuta lo spettatore a orientarsi emotivamente nei frequenti scambi identitari.
Grande attenzione alla simmetria e agli specchi: molte inquadrature centrali con Mi-ji o Mi-rae posizionate frontalmente o riflesse in vetri, porte, specchi da bagno indicano la specularità dell'identità.
Inquadrature spesso statiche o lente, a volte quasi pittoriche grazie all'utilizzo sapiente dei filtri.
Uso intelligente dello spazio “vuoto” nella scena per evocare isolamento, silenzio, introspezione.
Utilizzo di camere fisse : rarissimo uso di camera a mano, riservata solo a momenti di instabilità emotiva o eventi traumatici.
Alcune scene nella città di notte sono girate con long take (piani sequenza) in slow motion con luci al neon, reminiscenze di Wong Kar-wai e Hou Hsiao-hsien.
Le tecniche di ripresa danno vita agli spazi: Seoul viene presentata come organismo vivente, ripresa dal basso, dall’interno, attraverso finestre, mai come skyline- cartolina, ma come spazio intimo, vissuto, stratificato.
Vengono preferiti luoghi secondari, mercati, corridoi di metropolitana, cortili nascosti, piccoli caffè sono privilegiati rispetto a monumenti o spazi più affollati e moderni.
L’architettura stessa partecipa al racconto: elementi verticali per Mi-rae (rigidità, ambizione), orizzontali e aperti per Mi-ji (libertà, spontaneità).
La campagna diventa memoria e respiro attraverso l'utilizzo di spazi rurali ampi, con riprese in campo lungo e profondità di campo estesa per dare respiro e tempo alla narrazione. L' utilizzo della luce naturale crea l’effetto di quiete, malinconia, e senso di sospensione. La luce naturale (daylight) viene contrapposta all'illuminazione artificiale controllata per le scene notturne.
Le luci sono fredde negli interni cittadini, per creare un senso di distacco e di lontananza.
I tramonti, luce soffusa e retroilluminazione nei momenti di riconnessione tra le sorelle come metafora della verità che “illumina” le zone d’ombra.
La fotografia lavora in simbiosi con il paesaggio sonoro: lenti movimenti di camera accompagnati da suoni ambientali realistici e da una colonna sonora minimal (aspetto che personalmente non ho apprezzato moltissimo).
Le immagini si prendono il tempo del silenzio, e molte sequenze sono costruite per “respirare”,senza dialoghi ma con la tensione tra luce e ombra, suono e vuoto. Un esempio è nell'episodio 5: campo lungo sulle colline di Duson-ri, con Mi-ji/Mi-rae che cammina sola, la camera è fissa, la luce dorata dona un senso di espansione emotiva.
Nell'episodio 10: la ripresa notturna di Seoul da una terrazza con piano sequenza di 45 secondi dà un senso di vertigine e disorientamento interno. È una fotografia costruita per guardare oltre l’ovvio.
La cinematografia di Our Unwritten Seoul è raffinata, contemplativa e profondamente coerente con la struttura narrativa del doppio. Ogni scelta visiva lavora per rendere tangibile l’identità divisa delle protagoniste, evocare la memoria e il trauma attraverso gli spazi, raccontare Seoul come personaggio (non come sfondo).
Cosa la allontana dal 10:
- colonna sonora troppo mininal;
- interpretazioni ottime da parte di tutti ma un paio di personaggi secondari (le due madri e l'avvocato senior disabile) a mio avviso hanno reso meglio della protagonista, che pure è stata brava, magistralmente diretta (ma non eccezionale);
- eccessivamente lento nei primi 8 episodi , comprendo che sia per illustrare dettagliatamente, il percorso interiore dei personaggi e dare al lavoro una connotazione profondamente intima,
- il tono drammatico è stato pervasivo, non contrapposto ai momenti lieti, di respiro, questo per i primi 10 episodi.
- ultimo episodio con struttura tonale totalmente opposta mi hanno creato un senso di estraneità, come qualcosa di slegato ma che mi è piaciuto.
In conclusione consiglio l'opera perché è un racconto intimo, profondo, esistenziale, che parla di cura in modo delicato, introspettivo, con dei dialoghi di una profondità rara, che aiutano a riflettere sulla famiglia, sul senso della vita, sul peso del "non detto", sulla profondità dei rapporti umani, sulle conseguenze del trauma.Our Unwritten Seoul è un viaggio narrativo in cui l’identità, il trauma e la guarigione emotiva si intrecciano.
Attraverso lo scambio delle vite da parte delle gemelle, il melodramma si trasforma in una riflessione terapeutica sull’empatia, la resilienza, il confronto con le aspettative familiari, sociali e il valore delle scelte personali, autentiche e rispondenti ai valori significativi di vita.
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L’importanza dell’essere
Ho dato 10 a questo drama che, a mio parere, è uno dei migliori coreani recentemente prodotti. E’ un drama con una trama molto ben organizzata, con un ritmo costante, che mette in campo numerose tematiche piuttosto complesse. Difficile categorizzarlo, potrebbe essere un healing, ma non è solo quello. Il romance c’è, ma non è affatto il fulcro della vicenda, e si sviluppa piuttosto velocemente, senza troppi colpi di scena. La tematica centrale è l’identità, il riconoscimento di sé. Cosa ci identifica veramente? Quello che siamo diventati? Le nostre azioni? Le nostre intenzioni? Siamo ciò che siamo ora, in questo momento, o siamo ancora i bambini che eravamo?
Intorno ai protagonisti, con un’attrice sdoppiata, con recitazione molto convincente, e un attore che fa quel che deve e lo fa bene, tutta una galleria di personaggi che non solo solo di contorno, ma che reggono tutto l’intreccio della trama. E finalmente abbiamo due ritratti di maternità coinvolgenti e autentici che spezzano gli stereotipi delle madri isteriche e despote che sono tipici dei drama coreani. Ho anche apprezzato che finalmente si sia fatto uso di attori più giovani per le scene adolescenziali e non ci sia limitati a vestire da collegiali attori adulti.
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