Una visione deterministica che non evolve, ribadita fino allo sfinimento.
Ho deciso di droppare la serie dopo quattro episodi, tornando solo sul dodicesimo per capire come avrebbero gestito il percorso del personaggio principale. Devo riconoscere che Dear X è un prodotto confezionato in modo impeccabile, pensato per valorizzare al massimo la bravissima Kim Yoo-jung e un cast che funziona davvero bene. La regia, l’estetica e il ritmo sono curati e professionalmente solidi.
Il problema, per me, è altrove.
La trama e soprattutto la sceneggiatura mi sono sembrate un esercizio di marketing narrativo: più che raccontare una storia complessa, sembrano costruite per dimostrare che Kim Yoo-jung – solitamente a suo agio in ruoli luminosi e positivi – può sostenere anche personaggi oscuri, negativi, “maledetti” fino al midollo. E questo, chiariamolo, lei lo fa: è brava, credibile, magnetica.
Il peccato è che, per mostrarci quanto sia convincente nel ruolo della “dannata senza redenzione”, la serie punta tutto su un unico concetto ripetuto in modo quasi claustrofobico: se nasci con una genetica sbagliata e genitori pessimi, sei destinato a fare male per tutta la vita, a prescindere da chi ti tende una mano o prova a volerti bene gratuitamente.
Una visione deterministica che non evolve, non si sfuma e, anzi, viene ribadita fino allo sfinimento. Personalmente trovo questo approccio narrativo povero, fatalista e incapace di generare vero coinvolgimento emotivo. Dopo un po’, è chiaro dove si andrà a parare e nulla prova davvero a mettere in discussione quella premessa.
In conclusione: Dear X non fa per me. Riconosco la qualità del pacchetto e la performance della protagonista, ma non la consiglierei, soprattutto a chi cerca una storia che esplori il male con profondità, ambiguità e possibilità di cambiamento, e non come una condanna genetica scritta in partenza.
Il problema, per me, è altrove.
La trama e soprattutto la sceneggiatura mi sono sembrate un esercizio di marketing narrativo: più che raccontare una storia complessa, sembrano costruite per dimostrare che Kim Yoo-jung – solitamente a suo agio in ruoli luminosi e positivi – può sostenere anche personaggi oscuri, negativi, “maledetti” fino al midollo. E questo, chiariamolo, lei lo fa: è brava, credibile, magnetica.
Il peccato è che, per mostrarci quanto sia convincente nel ruolo della “dannata senza redenzione”, la serie punta tutto su un unico concetto ripetuto in modo quasi claustrofobico: se nasci con una genetica sbagliata e genitori pessimi, sei destinato a fare male per tutta la vita, a prescindere da chi ti tende una mano o prova a volerti bene gratuitamente.
Una visione deterministica che non evolve, non si sfuma e, anzi, viene ribadita fino allo sfinimento. Personalmente trovo questo approccio narrativo povero, fatalista e incapace di generare vero coinvolgimento emotivo. Dopo un po’, è chiaro dove si andrà a parare e nulla prova davvero a mettere in discussione quella premessa.
In conclusione: Dear X non fa per me. Riconosco la qualità del pacchetto e la performance della protagonista, ma non la consiglierei, soprattutto a chi cerca una storia che esplori il male con profondità, ambiguità e possibilità di cambiamento, e non come una condanna genetica scritta in partenza.
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