Per chi non teme le lacrime.
Sad Love Story è uno dei melodrammi più intensi e tragici dei primi anni 2000.
La vicenda ruota attorno a Joon-young e Hye-in, due giovani che fin dall’infanzia si proteggono e si vogliono bene.
La loro relazione è segnata da difficoltà sociali, malattie e soprattutto da interferenze esterne.
Fin dalle prime puntate la cattiveria è costante: fisica, psicologica, sottile e manipolatoria.
Lo spettatore percepisce presto la direzione della trama, ma resta coinvolto dalle emozioni forti.
Il motore principale è l’egoismo di una madre, di una zia, di un amico e di un amore non corrisposto, che porta a tragedie evitabili.
Chi causa dolore raramente subisce una vera punizione, e questo lascia un senso di ingiustizia.
Il perdono arriva quasi come obbligo narrativo, senza che ci sia un reale contrappasso.
Avrei voluto vedere personaggi ribellarsi con più decisione all’ossessione che viene loro imposta.
Qui emerge un limite tipico del melodramma classico: la vendetta è riservata solo ai malvagi perché i buoni sono buoni sempre.
Lo sceneggiatore Lee Sung-eun, però, dimostra grande talento nel creare atmosfere intense.
Sa usare silenzi, attese e sguardi per dare peso emotivo a ogni scena.
Il suo stile non è solo sadico, ma ci mostra il significato di amicizia.
Il risultato è una serie che commuove, fa riflettere e resta nella memoria.
Sad Love Story non regala catarsi, ma amore.
La vicenda ruota attorno a Joon-young e Hye-in, due giovani che fin dall’infanzia si proteggono e si vogliono bene.
La loro relazione è segnata da difficoltà sociali, malattie e soprattutto da interferenze esterne.
Fin dalle prime puntate la cattiveria è costante: fisica, psicologica, sottile e manipolatoria.
Lo spettatore percepisce presto la direzione della trama, ma resta coinvolto dalle emozioni forti.
Il motore principale è l’egoismo di una madre, di una zia, di un amico e di un amore non corrisposto, che porta a tragedie evitabili.
Chi causa dolore raramente subisce una vera punizione, e questo lascia un senso di ingiustizia.
Il perdono arriva quasi come obbligo narrativo, senza che ci sia un reale contrappasso.
Avrei voluto vedere personaggi ribellarsi con più decisione all’ossessione che viene loro imposta.
Qui emerge un limite tipico del melodramma classico: la vendetta è riservata solo ai malvagi perché i buoni sono buoni sempre.
Lo sceneggiatore Lee Sung-eun, però, dimostra grande talento nel creare atmosfere intense.
Sa usare silenzi, attese e sguardi per dare peso emotivo a ogni scena.
Il suo stile non è solo sadico, ma ci mostra il significato di amicizia.
Il risultato è una serie che commuove, fa riflettere e resta nella memoria.
Sad Love Story non regala catarsi, ma amore.
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