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Bogota: City of the Lost korean drama review
Completed
Bogota: City of the Lost
7 people found this review helpful
by Lynnea
Feb 4, 2025
Completed
Overall 8.0
Story 8.0
Acting/Cast 8.0
Music 8.0
Rewatch Value 8.0
This review may contain spoilers

La Colombia fa da sfondo a una lotta tra potere e sopravvivenza nella quale perdere sé stessi

Come per "My name is Loh Kiwan" la presenza di Song Joong Ki è stato il motivo principale per il quale ho visto questo film. Tra l'altro ho trovato diverse similitudini tra i due: l'ambientazione lontano dalla Corea, lui che parte da una situazione di svantaggio (qui è un espatriato, nel film precedente un rifugiato) e un protagonista il cui spessore è più nell'aspetto introspettivo che in quello estetico (dimentichiamoci l'aitante capitano delle forze speciali de "I discendenti del sole", piuttosto, come in Loh Kiwan, abbiamo a che fare con un taglio di capelli inizialmente trascurato, un abbigliamento spesso trasandato e un volto che è tutto fuorchè perfetto, dagli occhi spesso arrossati alle lentiggini - nell'altro film erano dei nei - che costellano gli zigomi dell'attore)
Ero curiosa di vedere "Bogotà" ma al contempo scettica per via dei vari rimandi non propriamente entusiasti (pare che sia stato un mezzo flop al botteghino). E invece devo dire che mi è piaciuto.
Non una prova eccellente ma comunque un film che ci sta. La prima parte mi è piaciuta molto: l'arrivo della famiglia in Colombia - inizialmente vista come transito per gli USA - alla ricerca di una vita migliore, l'ambiente completamente diverso negli usi e costumi (emblematico quando appena arrivato Guk Hui insegue il borseggiatore, per poi sentirsi dire che "Non sei in Corea, qui se insegui il tizio che ti ha derubato finisci nei guai"). Un mondo diverso, oltre che una lingua diversa. Mentre la famiglia si disgrega - il padre, elemento fallimentare, si autoelimina da solo dandosi all'alcolismo - il giovane Guk Hui si da da fare partendo dal basso, con determinazione e costanza, e animato da un modo di approcciarsi diverso dagli altri e che salta subito all'occhio del "Sergente" Park, contrabbandiere coreano da anni e di fatto a capo dei commercianti coreani della città. Park, insieme al suo sottoposto Su Yeong (che a un certo punto cercherà di smarcarsi e mettersi in proprio con gli affari), rapprensentano le due figure di riferimento per Guk Hui: osservandoli imparerà le regole non scritte dell'ambiente, sarà per loro un valido elemento ma mai completamente degno di fiducia e a sua volta lavorerà per loro senza mai affidarsi completamente. Più che altro, direi che li studia. Impara la lingua, impara come funziona il giro del contrabbando, partendo dal gradino più basso e scalando via via "i sei mondi". Se inizialmente spera di poter tornare in un futuro in Corea (quando rifiuta lo stupefacente offertogli dal collega perchè "in Corea è illegale", è indice di come veda la Colombia solo come un periodo di passaggio nella sua vita), col passare del tempo la voglia di tornare nella sua terra d'origine - dalla quale se ne era andato povero in canna - lascia il posto all'assuefazione per la bella vita che ora conduce (dove può permettersi di brindare a bordo di una piscina sul tetto di un palazzo e con vista mozzafiato, ricevendo in regalo nientemeno che un rolex). E' un primo segnale di svolta, il cambio di obiettivi e di prospettiva. Tenendo un profilo basso ha fatto esperienza, ha studiato tutto ciò che lo circonda e sa di possedere delle buone capacità. Eppure, manca qualcosa. E lo comprende quando il padre muore dopo aver cercato di sottrargli dei soldi che Guk Hui era incaricato di utilizzare per un'operazione di contrabbando. Quel momento rappresenta, nel concreto, il giro di boa: lui è già cambiato, ma è solo in quel momento che il suo cambiamento diventa palese a tutti. Questo perchè capisce che non basta l'esperienza e la capacità, se di fatto non lo temono. L'intimidazione prende il via con l'uccisione del tizio che a sua volta aveva cercato di eliminarlo. Da quel momento in poi - sergente Park compreso, che per un attimo appare addirittura intimorito - diventa chiaro a tutti che con Guk Hui non si scherza. Da lì la sua ascesa è rapida, Park sembra ormai una figura in procinto di cadere dal suo trono e l'allora mentore Su Yeong si trova suo malgrado e non senza malcelata invidia a dover accettare l'autorità di Guk Hui. Ci ritroviamo quindi di fronte a un protagonista che viaggia in prima classe e veste abiti fatti su misura, il suo viaggio in Corea viene citato ma non gli viene dedicata una scena che sia una (quasi a sottolineare che, ormai, la terra di origine non ha più un significato per lui). Il tentantivo di progettare un centro commerciale con negozi che seguano le regole sfuma, Su Yeong riesce a far leva sulle ormai radicate abitudini dei commercianti coreani per minare l'autorità di Guk Hui. In risposta, tornerà a fare ricorso all'aspetto intimidatorio, ma in modo diverso rispetto al passato: metterà in scena un finto attentato a sè stesso, cosa che inizialmente nessuno comprenderà, poichè del resto molti sono quelli che, potendo, avrebbero piacere di eliminarlo. E' una mossa rischiosa ma arguta, che da una parte gli premette di riconfermarsi a capo del territorio e dall'altra di far venire a galla gli elementi di cui è ormai giunta ora di liberarsi (sentendosi i primi sospettati dell'attentato - poichè di fondo ne avrebbero l'intenzione - scappano timorosi di una sua ritorsione). E' così che giunge la fine per Su Yeong, ormai consumato dall'invidia per non essere stato in grado di aver scalato "i mondi" come Guk Hui ha saputo invece fare. L'averlo accolto anni prima sotto la propria ala è ormai un lontano ricordo, non può esserci fiducia, solo un pugnalarsi alle spalle. Stesso discorso per il sergente Park, che fa una mossa più scaltra ma alla quale il protagonista era già preparato. Emblematica la scena finale, con lui che ha eliminato tutti coloro che gli stavano vicino ma dei quali non si poteva fidare, che osserva il panorama dall'alto. Ha raggiunto il sesto mondo, è potente, la gente lo teme. Ma è solo. Anche il ragazzo che era, il giorno del suo arrivo, inseguendo il borseggiatore, si era ritrovato in cima a un promontorio con un'ampia veduta davanti. Stessa scena, stesso nome, diversa persona. Non è più il ragazzo che era appena arrivato dalla Corea, ha preso una strada a senso unico, entrando a far parte di un sistema che non può più lasciare per riabbracciare i sogni del passato: le sue uniche opzioni ora sono sopravvivere e dominare o soccombere.

A livello di recitazione, davvero un cast molto valido, anche al di là del protagonista. Song Joong Ki, per la seconda volta dopo Loh Kiwan, riesce ad annullare qualsiasi attenzione all'aspetto estetico dando spazio al lato introspettivo del personaggio. Credo che sia l'ennesima prova della grande versatilità di questo attore - la cui fama internazionale certo è legata a drama come "I discendenti del sole" e "Vincenzo" - ma che sa abbandonare il ruolo del bello forte e fascinoso per dare vita a personaggi decisamente meno scontati e più difficili da interpretare (per fare un paragone, anche Ji Chang Wook ha tentato delle pellicole diverse dai suoi celeberrimi "Healer" o "Suspicious Partner", ma i risultati sono stati piuttosto deludenti).
Unica considerazione, inizia a farmi un po' strano vederlo impersonare giovani poco più che adolescenti. Vero che gli attori asiatici spesso camuffano bene l'età reale e vero che Song Joong Ki ha un volto da eterno ragazzo. Ma siamo alla soglia dei quaranta, scaliamone pure una decina o poco più, ma quando all'inizio del film si spaccia per un diciottenne... E' credibile solo fino a un certo punto.

Nulla da dire sulla sceneggiatura. Avrei tolto forse qualche scena - ripetuta - dei controlli dei camion ai posti di blocco, a favore di qualche passaggio in più nella sua scalata al potere iniziata con la morte del padre.

In conclusione, non un film che passerà alla storia, ma senz'altro un prodotto originale - difficile confondere la sua trama con quella di altri film/drama - ben interpretato e interessante.
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