This review may contain spoilers
Una serie che aspirava a distinguersi ma che ha puntato a un obiettivo di fatto non ben definito.
Titolo singolare e avvio promettente. Se il bullismo per il sovrappeso è cosa già vista, la discriminazione etnica non è così frequente nei drama asiatici (la protagonista viene giudicata per via della madre, dalla quale peraltro ha ereditato l’insolito colore degli occhi, i capelli e le lentiggini). La serie prende il via con i due adolescenti emarginati, apparentemente legati da un’amicizia grazie alla quale si sostengono a vicenda. All’insaputa di lui, lei è però in procinto di voltare pagina e ricominciare una nuova vita a Seul: nell’addio ci scappa la prima volta di entrambi.
Dal secondo episodio si ha il salto temporale in avanti di anni, lei che torna per un funerale, i due che si incontrano: lui, ora un uomo affascinante, senza più occhiali e chili di troppo, ancora palesemente innamorato di lei, sembra aver vissuto in un’eterna e inconcludente attesa. Lei si ritrova catapultata nella realtà dalla quale era fuggita, dal rapporto difficile col padre alla cerchia di persone che conoscono la sua storia e che, dedite ai pregiudizi, la fanno sentire ancora etichettata e giudicata come un tempo. Lei, quindi, è combattuta tra una situazione che non è mai riuscita ad affrontare e il sentimento per Yeon Su. Con lui c’è un continuo rincorrersi a vicenda dettato da un pessimo tempismo (meccanismo che può avere senso una prima volta ma che proposto così a ripetizione stufa). Lei risulta molto capricciosa: lo allontana ma poi lo cerca, pretende rimangano solo amici ma non disdegna effusioni. Lui subisce, da sempre e apparentemente per sempre: praticamente è in balia di lei e dei suoi mood quotidiani. Verso la fine, un aneddoto – evitabile – su un episodio cruciale del loro comune passato torna a galla e diventa l’ennesimo ed ultimo ostacolo di questo tira e molla infinito. Ovviamente si rivelerà superabile, dipanando alcuni dubbi legati al passato e lascerà spazio a una conclusione abbastanza scontata.
A conti fatti, la parte forse più emozionante è quella legata al rapporto padre-figlia, che concentra negli ultimissimi episodi un vero e proprio sviluppo tra questioni passate e prospettive future
Il cast non mi ha entusiasmata. Conoscevo già l’attrice protagonista, molto apprezzata in altri drama, ma devo ammettere che le sue interpretazioni iniziano a sembrarmi un po’ tutte simili.
A livello di musiche, “Here I am” meritevole di finire nella mia playlist.
Tirando le somme, “Motel California” – e a questo punto ci si chiede il perché di questo titolo, già che non ha avuto alcun significato particolare se non la denominazione dell’albergo di famiglia – sembra inizialmente promettere un viaggio verso una destinazione nuova, salvo poi perdersi per strada e non arrivare di fatto da nessuna parte. Non è nemmeno brutto, sicuramente in certi meccanismi è molto ripetitivo, ma il vero problema è che arrivati alla fine lo si archivia come quella serie vista ma già pronta per essere dimenticata e che non si avrà certo voglia di rivedere una seconda volta.
Dal secondo episodio si ha il salto temporale in avanti di anni, lei che torna per un funerale, i due che si incontrano: lui, ora un uomo affascinante, senza più occhiali e chili di troppo, ancora palesemente innamorato di lei, sembra aver vissuto in un’eterna e inconcludente attesa. Lei si ritrova catapultata nella realtà dalla quale era fuggita, dal rapporto difficile col padre alla cerchia di persone che conoscono la sua storia e che, dedite ai pregiudizi, la fanno sentire ancora etichettata e giudicata come un tempo. Lei, quindi, è combattuta tra una situazione che non è mai riuscita ad affrontare e il sentimento per Yeon Su. Con lui c’è un continuo rincorrersi a vicenda dettato da un pessimo tempismo (meccanismo che può avere senso una prima volta ma che proposto così a ripetizione stufa). Lei risulta molto capricciosa: lo allontana ma poi lo cerca, pretende rimangano solo amici ma non disdegna effusioni. Lui subisce, da sempre e apparentemente per sempre: praticamente è in balia di lei e dei suoi mood quotidiani. Verso la fine, un aneddoto – evitabile – su un episodio cruciale del loro comune passato torna a galla e diventa l’ennesimo ed ultimo ostacolo di questo tira e molla infinito. Ovviamente si rivelerà superabile, dipanando alcuni dubbi legati al passato e lascerà spazio a una conclusione abbastanza scontata.
A conti fatti, la parte forse più emozionante è quella legata al rapporto padre-figlia, che concentra negli ultimissimi episodi un vero e proprio sviluppo tra questioni passate e prospettive future
Il cast non mi ha entusiasmata. Conoscevo già l’attrice protagonista, molto apprezzata in altri drama, ma devo ammettere che le sue interpretazioni iniziano a sembrarmi un po’ tutte simili.
A livello di musiche, “Here I am” meritevole di finire nella mia playlist.
Tirando le somme, “Motel California” – e a questo punto ci si chiede il perché di questo titolo, già che non ha avuto alcun significato particolare se non la denominazione dell’albergo di famiglia – sembra inizialmente promettere un viaggio verso una destinazione nuova, salvo poi perdersi per strada e non arrivare di fatto da nessuna parte. Non è nemmeno brutto, sicuramente in certi meccanismi è molto ripetitivo, ma il vero problema è che arrivati alla fine lo si archivia come quella serie vista ma già pronta per essere dimenticata e che non si avrà certo voglia di rivedere una seconda volta.
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