Un inno alla vita reso magnificamente da un cast d'eccellenza
Questa è una serie di un’eleganza e di un'autenticità a dir poco struggenti. Un piccolo capolavoro che aspettavo da tempo e che per certi versi un po’ temevo. Perché Namgoong Min è in assoluto il mio attore preferito, una recitazione di altissimo livello e un talento nel dare vita a personaggi memorabili ed estremamente diversi tra di loro. Al suo fianco una formidabile Jeon Yeo Bin, che dopo l’ottima prova in “Vincenzo” qui davvero supera sé stessa. Inutile dire che messi assieme hanno saputo regalare una prova davvero indimenticabile.
Sapevo che la storia ruotava attorno al tema di una malattia terminale, argomento che non mi fa solitamente impazzire perché non amo immergermi nella tristezza. Conoscendo le capacità di Namgoong Min, era anche chiaro non ci sarebbero state mezze misure, per cui emotivamente sarebbe stato davvero impattante e travolgente. E così è stato.
Il ritmo della storia non ha bisogno di essere incalzante per mantenere alta l’attenzione ma può prendersi il suo tempo, anche rallentare, per infondere significato in ogni passaggio e in ogni scena. Le banalità sono bandite, qualsiasi cliché scontato anche. Non c’è una trama contorta, riempita da una miriade di svolte impreviste e colpi di scena, semplicemente perché non ce ne è affatto bisogno. Non si fa volutamente leva sui sentimenti dello spettatore, forzandoli, ma questi emergono naturalmente davanti a una storia che si mostra nella sua totale autenticità e grazie al sopracitato talento degli attori principali che hanno evidentemente portato avanti uno studio attento e approfondito dei personaggi interpretati. La mancanza di artificiosità promuove una tristezza di un’intensità sorprendente: a catturare lo spettatore non è tanto una bella trama, ma una pioggia di emozioni alle quali è impossibile sfuggire. Tanti sono i livelli che si sovrappongono nel quadro generale, tante emozioni e storie, tanti ruoli e personaggi. Se l’aspetto più rilevante e di impatto è la malattia terminale di lei, si affiancano poi tantissimi altri nodi più o meno grandi, più o meno vecchi, da sciogliere con cura. C’è il passato di Lee Ji Ha, la perdita della madre, il difficile e contorto rapporto con il padre, le convinzioni che l’hanno condizionato praticamente per tutto l'arco intero della vita, influenzando i suoi rapporti con gli altri. C’è il padre di Lee Da Eum, sopravvissuto a un grande lutto e che convive con la consapevolezza di doverne affrontare a breve un altro. A loro si affiancano svariati personaggi secondari - dal produttore all'amica al manager all'ex rivale in amore - nessuno messo lì a caso. Non c’è un vero cattivo, siamo ben oltre la banale e semplicistica distinzione tra bene e male. Ci sono solo persone, con i loro problemi, le loro difficoltà, i loro pregi e difetti e la loro possibilità di crescita personale. Una moltitudine di sfumature di grigio che virano di continuo tra tonalità più chiare e più scure.
"Our Movie" è una serie che fa amare la vita, per davvero, con anche tutto il carico di sofferenza che comporta. Titolo azzeccato e con più significati oltre a quello più scontato, perché la pellicola che viene girata è una sorta di “Film dentro il film”, dentro quella storia dove ciascuno è attore e che si chiama vita. Strepitosa la caratterizzazione di Lee Da Eum, capace di alleggerire un ruolo altresì monotono con numerosi momenti di brio, freschezza e ironia. Una singolarità caratteriale luminosa e vivida, che riesce davvero bene all’attrice (anche in Vincenzo il suo personaggio mostrava aspetti decisamente non convenzionali). Altrettanto complesso il personaggio di Lee Je Ha, la sua evoluzione è davvero importante, il tornado emotivo che attraversa e la presa di una nuova consapevolezza che darà una nuova svolta alla sua vita si avverte in maniera nitida ed inequivocabile, così come le incertezze che deve affrontare, un amore al quale non si può sottrarre ma che deve anche riconoscere e accettare, in tutta la sua splendida e dolorosa bellezza. A quel punto si coglie l’essenza stessa del sentimento, non esiste più malattia, e il poco tempo che resta e che scorre fin troppo velocemente diventa solo…tempo. Tutto passa in secondo piano. Un vero e proprio inno alla vita.
Regia ottima, scenografia e fotografia di alto livello, musiche pensate ad hoc. Non si seguono mode, non si ricerca la perfezione o il grande effetto visivo: la sigla da sola parla chiaro. Un tocco da maestro sono anche alcune serie di fotogrammi in bianco e nero, oltre a inquadrature davvero cariche di un significato che non viene buttato in faccia allo spettatore, ma che si mostra nella sua semplicità. C’è da commuoversi anche solo per la bellezza tecnica dell’opera, dico davvero.
Il finale è perfetto, degna e giusta conclusione che non si lascia tentare da soluzioni prevedibili, magari anche piacevoli per il pubblico, ma che a conti fatti andrebbero a stridere con il senso di tutto quanto fatto. Namgoong Min arriva davvero al cuore, nelle ultime scene, con quell’elegante compostezza che da sempre lo contraddistingue, con il suo timbro di voce, calmo e profondo, e un’espressività che vale più di mille parole.
Ho pianto, molto. Non amo piangere per la tristezza, solitamente evito i drama di questo genere ma in questo caso davvero non potevo non vederlo.
Una serie, questa, che non credo verrà apprezzata appieno su larga scala, poiché bisogna essere disposti a soffrire con essa e a mettere da parte la ricerca di soddisfazioni facili e immediate, per quanto decisamente meno persistenti: gli avventori del “tutto e subito” la troveranno probabilmente lenta e noiosa, ci sta. Io stessa a volte ricerco visioni più leggere e meno impegnative, attendevo da tempo l’uscita di questa serie ma per apprezzarla a dovere ho aspettato di essere nel “mood” giusto.
Non posso che consigliarla, a chi ha voglia di cimentarsi in qualcosa di originale e stupendo, mettendo in stand-by “il solito” e accettando l’idea di gustarsi per una volta qualcosa di davvero diverso. Con il giusto approccio, non si può che rimanerne incantati.
Sapevo che la storia ruotava attorno al tema di una malattia terminale, argomento che non mi fa solitamente impazzire perché non amo immergermi nella tristezza. Conoscendo le capacità di Namgoong Min, era anche chiaro non ci sarebbero state mezze misure, per cui emotivamente sarebbe stato davvero impattante e travolgente. E così è stato.
Il ritmo della storia non ha bisogno di essere incalzante per mantenere alta l’attenzione ma può prendersi il suo tempo, anche rallentare, per infondere significato in ogni passaggio e in ogni scena. Le banalità sono bandite, qualsiasi cliché scontato anche. Non c’è una trama contorta, riempita da una miriade di svolte impreviste e colpi di scena, semplicemente perché non ce ne è affatto bisogno. Non si fa volutamente leva sui sentimenti dello spettatore, forzandoli, ma questi emergono naturalmente davanti a una storia che si mostra nella sua totale autenticità e grazie al sopracitato talento degli attori principali che hanno evidentemente portato avanti uno studio attento e approfondito dei personaggi interpretati. La mancanza di artificiosità promuove una tristezza di un’intensità sorprendente: a catturare lo spettatore non è tanto una bella trama, ma una pioggia di emozioni alle quali è impossibile sfuggire. Tanti sono i livelli che si sovrappongono nel quadro generale, tante emozioni e storie, tanti ruoli e personaggi. Se l’aspetto più rilevante e di impatto è la malattia terminale di lei, si affiancano poi tantissimi altri nodi più o meno grandi, più o meno vecchi, da sciogliere con cura. C’è il passato di Lee Ji Ha, la perdita della madre, il difficile e contorto rapporto con il padre, le convinzioni che l’hanno condizionato praticamente per tutto l'arco intero della vita, influenzando i suoi rapporti con gli altri. C’è il padre di Lee Da Eum, sopravvissuto a un grande lutto e che convive con la consapevolezza di doverne affrontare a breve un altro. A loro si affiancano svariati personaggi secondari - dal produttore all'amica al manager all'ex rivale in amore - nessuno messo lì a caso. Non c’è un vero cattivo, siamo ben oltre la banale e semplicistica distinzione tra bene e male. Ci sono solo persone, con i loro problemi, le loro difficoltà, i loro pregi e difetti e la loro possibilità di crescita personale. Una moltitudine di sfumature di grigio che virano di continuo tra tonalità più chiare e più scure.
"Our Movie" è una serie che fa amare la vita, per davvero, con anche tutto il carico di sofferenza che comporta. Titolo azzeccato e con più significati oltre a quello più scontato, perché la pellicola che viene girata è una sorta di “Film dentro il film”, dentro quella storia dove ciascuno è attore e che si chiama vita. Strepitosa la caratterizzazione di Lee Da Eum, capace di alleggerire un ruolo altresì monotono con numerosi momenti di brio, freschezza e ironia. Una singolarità caratteriale luminosa e vivida, che riesce davvero bene all’attrice (anche in Vincenzo il suo personaggio mostrava aspetti decisamente non convenzionali). Altrettanto complesso il personaggio di Lee Je Ha, la sua evoluzione è davvero importante, il tornado emotivo che attraversa e la presa di una nuova consapevolezza che darà una nuova svolta alla sua vita si avverte in maniera nitida ed inequivocabile, così come le incertezze che deve affrontare, un amore al quale non si può sottrarre ma che deve anche riconoscere e accettare, in tutta la sua splendida e dolorosa bellezza. A quel punto si coglie l’essenza stessa del sentimento, non esiste più malattia, e il poco tempo che resta e che scorre fin troppo velocemente diventa solo…tempo. Tutto passa in secondo piano. Un vero e proprio inno alla vita.
Regia ottima, scenografia e fotografia di alto livello, musiche pensate ad hoc. Non si seguono mode, non si ricerca la perfezione o il grande effetto visivo: la sigla da sola parla chiaro. Un tocco da maestro sono anche alcune serie di fotogrammi in bianco e nero, oltre a inquadrature davvero cariche di un significato che non viene buttato in faccia allo spettatore, ma che si mostra nella sua semplicità. C’è da commuoversi anche solo per la bellezza tecnica dell’opera, dico davvero.
Il finale è perfetto, degna e giusta conclusione che non si lascia tentare da soluzioni prevedibili, magari anche piacevoli per il pubblico, ma che a conti fatti andrebbero a stridere con il senso di tutto quanto fatto. Namgoong Min arriva davvero al cuore, nelle ultime scene, con quell’elegante compostezza che da sempre lo contraddistingue, con il suo timbro di voce, calmo e profondo, e un’espressività che vale più di mille parole.
Ho pianto, molto. Non amo piangere per la tristezza, solitamente evito i drama di questo genere ma in questo caso davvero non potevo non vederlo.
Una serie, questa, che non credo verrà apprezzata appieno su larga scala, poiché bisogna essere disposti a soffrire con essa e a mettere da parte la ricerca di soddisfazioni facili e immediate, per quanto decisamente meno persistenti: gli avventori del “tutto e subito” la troveranno probabilmente lenta e noiosa, ci sta. Io stessa a volte ricerco visioni più leggere e meno impegnative, attendevo da tempo l’uscita di questa serie ma per apprezzarla a dovere ho aspettato di essere nel “mood” giusto.
Non posso che consigliarla, a chi ha voglia di cimentarsi in qualcosa di originale e stupendo, mettendo in stand-by “il solito” e accettando l’idea di gustarsi per una volta qualcosa di davvero diverso. Con il giusto approccio, non si può che rimanerne incantati.
Was this review helpful to you?