Drama che tra pro e contro ha il suo perchè, ma penalizzato da un protagonista non performante
C-drama storico che mescola intrighi, lotte di potere, combattimenti, romance e affetti famigliari. A visione conclusa, posso solo fare una distinzione netta tra aspetti positivi e negativi.PRO:
- Vicenda complessivamente interessante, trama non originalissima ma che può funzionare per l'importante durata prospettata (la serie conta quasi 40 episodi).
- Ben riuscito il personaggio principale femminile, dove la buona prova recitativa dell’attrice ha regalato una figura di carattere, viva ed espressiva. Unico neo, il titolo di “generale”, che non trova alcun riscontro nella vicenda, non solo nel presente ma neanche nei – pochi - ricordi del passato. E’ il terzo drama che vedo in pochi mesi che si ostina a vantare una donna generale che, nei fatti, tale non è. Validissima l’idea di un’ineguagliabile arciere… Ma mi sarei fermata a quello.
- Il rapporto tra fratelli e la loro caratterizzazione: una faida dovuta a fraintendimenti tra il protagonista e il fratellastro più giovane piuttosto che un legame indissolubile tra fratello e sorella sarebbero stati ovvii cliché. Ho quindi apprezzato la scelta di mantenere salda la fiducia del fratello minore, così come osare conferire all’adorata sorella una caratterizzazione che così fantastica non è: all’inizio sembra una giovane immatura e avventata che – al pari di una sbandata di un’adolescente del giorno d’oggi - volta le spalle alla famiglia per inseguire il grande amore della sua vita che è più frutto delle sue illusioni romantiche che della realtà. Capricciosamente egoista anche con il novello sposo (per la serie “sono disposta a fare tutto per te…Però alla fine se non mi ripaghi innamorandoti di me allora sei uno stronzo perché me lo dovevi, quindi passo a odiarti”), si dimostra ancora più discutibile nel momento in cui inizia una liaison di interesse col cognato lunatico e mentalmente instabile. Una figura antipatica, dall’inizio alla fine, ma in questo - va detto - sicuramente coerente. Ho apprezzato che agli occhi del fratello resti la sua amata sorellina ma che l’essere appunto adorata dall’eroe della vicenda non faccia necessariamente di lei una figura retta e pia, come invece accade nella maggior parte dei drama (l'indifesa sorellina di turno è quasi sempre un personaggio totalmente buono e positivo).
- La schiera dei cattivi, davvero mista e variegata: oltre a quelli palesi fin dall'inizio, se ne profilano poi degli altri, più o meno insospettabili (difficili da individuare all’inizio, ma che si riconoscono comunque con qualche episodio in anticipo). Interessante come ciascuno sia un insieme di mezzi toni e mai completamente nero: realistico perché descrive bene la natura umana, dove è più facile avere a che fare con personaggi in parte cattivi, ma non malvagi nella loro totalità e comunque ancora animati in parte da affetti talvolta sinceri.
- Il personaggio di Xia Jing Shi, davvero ma davvero complesso ed imperscrutabile. Ho fatto davvero fatica ad inquadrarlo, sono rimasta con la curiosità fin quasi alla fine perché potenzialmente oggetto di sorprendenti svolte inaspettate. Personaggio sicuramente riuscito e per nulla prevedibile, non c'è che dire.
- Belle le scene di combattimento e la relazione basata su fiducia e rispetto tra Feng Sui Ge e i suoi più fidati sottoposti.
- Acconciature, costumi e accessori ben curati (forse in alcuni casi le imperatrici madri/vedove un po’ eccessivamente truccate).
- OST non da playlist del cuore, ma sicuramente molto belle l’omonima “Fated hearts” e ancor di più “Surging waves”
CONTRO:
- Il clichè dell’amnesia, pure raddoppiato: se nel caso di lei toglie molto perché priva quasi completamente lo spettatore del suo passato, nel caso di lui è quell’intermezzo breve e per nulla necessario, se non per consentire l’inserimento delle tipiche scene di “lui che non la riconosce più” e “lui che alla fine si ricorda di lei”. Momenti in teoria molto intensi e ricchi di pathos, ma talmente abusati che – visti già un milione di volte – ormai suonano più noiosi che interessanti.
- La strage di massa di buona parte dei personaggi. Se da una parte abbiamo la coppia principale – che quanto a moralità e rettitudine mai vacilla – dall’altra la maggior parte dei personaggi paleserà dei risvolti tutt’altro che magnanimi (forse un po’ troppi…almeno un paio di figure le avrei mantenute sulla retta via, che fosse l’amico Murong Yan piuttosto che rivalutare uno dei due fratelli Xia partendo da una apparente connotazione negativa per poi far emergere un piano nascosto una nobiltà d’animo). Invece no, per tutti loro l’ago della bilancia tende verso le tinte più scure e presto o tardi si assiste alla loro dipartita. Questo crea un po’ una discrepanza tra il gruppo e la coppia principale, dove i due protagonisti in confronto risultano quasi dei santi. Avrei accorciato la distanza, permettendo loro degli errori e salvando qualche peccatore dal commettere azioni imperdonabili.
- Nel corso della vicenda, qualche cedimento a livello di coerenza e logica c’è, a volte anche su dettagli ma che saltano comunque all’occhio. Tanto per citarne un paio, Feng Sui Ge non svuota il sacco con la sorella su tutti i peccati e complotti di Xia Jing Shi, mentre paradossalmente si dispera per non riuscire a fermarla dal suo intento di scappare con il suo peggior nemico. Oppure ancora quando all’inizio gli uomini di Xia Jing Shi minacciano Fu Yi Xiao sulla nave tenendo in ostaggio un ragazzino a lei caro: il tizio se ne sta lì con la lama puntata al collo del ragazzino mentre lei continua tranquillamente a lottare – e a sconfiggere - a uno a uno tutto il resto della banda. Ma che minaccia è? Perchè lei va avanti e la lama al collo diventa un pericolo solo quando ha steso tutti gli altri? Qualcosa non funziona, a rigor di logica.
- Nella parte iniziale, il passaggio tra torture vicendevoli e l’accordo di alleanza dei due protagonisti suona un poco affrettato. Un attimo prima la fa frustare a sangue mentre lui se ne sta lì vicino a disquisire tranquillamente col suo sottoposto, il momento dopo le cura le ferite e siamo pronti per stringere il patto. Diluito sarebbe stato più credibile.
- Infine, dopo un misto di pro e di contro che – tutto sommato – potrebbero anche bilanciarsi, arriva quella che secondo me è la pecca più importante della serie, ovvero la scelta dell’attore protagonista. Consapevole che la mia opinione sarà altamente impopolare, sono al terzo drama dell’acclamato Chen Zhe Yuan…e per me è la terza delusione. Non mi aveva minimamente colpita in “Hidden love”, l’ho trovato davvero penalizzante in “The white olive tree” e anche qui in “Fated hearts” non ha funzionato. Io tutto questo talento davvero non riesco proprio a vederlo: non lo trovo minimamente espressivo (zero microespressioni e anche l’espressività di base è veramente ridotta al minimo), capace per lo più di uno sguardo fisso in un punto ma che dovrebbe esprimere tutta una gamma di emozioni che – personalmente – proprio non arrivano. Gli sguardi che dovevano essere arrabbiati se non furiosi non sembravano affatto tali. L’impressione è che l’attore non fosse davvero immerso nel ruolo, non si stesse immedesimando nel personaggio e si stesse quindi limitando a una recitazione superficiale e meccanica, per quanto accurata in termini di battute e copione. Come già detto nella recensione di “The white olive tree”, continua ad essere un bel faccino incapace di bucare lo schermo (e anche sul bel faccino si potrebbe aprire una parentesi…pur essendo innegabilmente di bell’aspetto – con lineamenti a mio avviso anche fin troppo morbidi e accentuati, indipendentemente che siano patrimonio genetico o il risultato di interventi chirurgici – manca completamente di un vero fascino, di quel tipo di bellezza – spesso unica proprio perché imperfetta – che ha però più appeal rispetto a una bellezza un po’ troppo eterea e, nel suo caso specifico, anche molto ingessata). Va da sé che, nella sintonia di coppia, lui è l’elemento debole, incapace di sostenere e alimentare il coinvolgimento che ci si aspetta nelle scene maggiormente dedicate al romance. Qualche sforzo nella seconda parte del drama, a livello espressivo, nelle scene dove da Principe della Guerra si trasforma quasi in un vitello piangente (va bene una lacrima che sfugge di tanto in tanto, ma senza esagerare). Spiace ma una stellina secca in meno nella valutazione complessiva è imputabile interamente a lui.
In conclusione, non un drama eccellente ma sicuramente nella media – lo dico comunque in senso positivo – forte di alcuni spunti intelligenti ma comunque non privo di altrettanti difetti e, soprattutto, penalizzato fortemente da un attore protagonista per nulla performante. Per i fan di Chen Zhe Yuan – che ci sono come è giusto che sia – potrebbe rivelarsi invece un drama altamente apprezzabile.
Quando "lei" diventa "lui", tra banalità e zero introspezione
Commedia non particolarmente impegnativa, che si gioca tutto sull'anomalia genetica che - senza preavviso - trasforma la protagonista in un uomo. Segreto di famiglia, a lei capita per la prima volta in età adulta, nel bel mezzo di un'importante relazione romantica. Il fidanzato viene messo subito a conoscenza della situazione e il fulcro del drama si concentra sulla reazione di lui - e degli amici/conoscenti - e il rapporto che si instaura con l'alter ego di Ji Eun, ovvero Ji Hun.La serie propone tutti i cliché che si possono immaginare, senza saltarne uno. Il tutto è affrontato in maniera un po' semplicistica, non ci sono grandi spiegazioni rispetto all'incredibile anomalia che affligge la famiglia Kim da generazioni, l'effetto sorpresa per il fidanzato e per la migliore amica contempla un momento di sbalordimento ma poi anche un'accettazione tutto sommato poco credibile, prendendo per buono il dato di fatto senza farsi troppe domande. Entra in gioco l'immancabile rivale in amore che da il via a tutta una serie di fraintendimenti, situazioni imbarazzanti e scuse campate in aria al limite del ridicolo.
Pur avendo utilizzato un aspetto sicuramente esagerato - il cambio di genere - mi ha ricordato per certi versi il concetto alla base del drama "True beauty", ovvero l'andare oltre all'apparenza estetica (in quella serie la tematica aveva a che fare anche con lo status e la popolarità, qui il cambio di genere già da solo basta e avanza). Non ho però trovato il messaggio che mi aspettavo, anzi. Fatta eccezione per un paio di scene, dove il drama sembra voler acquisire più spessore e mettere sul piatto alcune riflessioni importanti - la difficoltà nel relazionarsi è scontata in tutti coloro che circondano Ji Eun, ma viene a un certo punto sottolineato come lei stessa si ritrovi a vivere la stessa, difficile, situazione, pur essendo gli altri apparentemente quelli di sempre - per il resto il tenore è davvero quello di un approccio abbastanza superficiale. Una serie dedita al mero intrattenimento, con la proposta di situazioni singolari al limite dell'assurdo e in buona parte prevedibili nella speranza di catturare e mantenere l'attenzione curiosa - e in parte anche divertita - dello spettatore.
Rispetto ai personaggi, ho trovato Ji Eun davvero antipatica e fastidiosa, tanto da preferire decisamente la sua controparte maschile. Ji Hun ha la parte indubbiamente più difficile, ma riesce con una buona espressività a portare avanti un doppio personaggio - interiore ed esteriore - risultando tutto sommato convincente. Park Yun Jae è quel bravo ragazzo un po' troppo bravo ragazzo, che si sforza di accettare al meglio ogni situazione, cerca di sopprimere le proprie difficoltà emotive, nell'ottica di offrire un eterno sostegno. Praticamente una stampella.
Il personaggio manca inoltre di quell'evoluzione che sarebbe stato avviso il valore aggiunto: compresa e accettata la situazione, per tutta la durata della serie Ji Eun sarà la sua fidanzata e Ji Hun un amico. Questa distinzione non ha nulla a che vedere con l'assenza - sensata - di effusione tra i due maschi, ma l'atteggiamento - e non mi riferisco alla comunicazione verbale - di Yun Jae rimarrà comunque diverso a seconda dell'aspetto, quasi fossero davvero due persone differenti.
Non particolarmente interessanti i personaggi secondari, dalla sorella alle prese con un amore ritrovato alla migliore amica scrittrice, che nell'insieme danno vita a due pairing secondari che lasciano un po' il tempo che trovano.
Qualitativamente parlando, non si è volato alto. Abbiamo infatti a che fare con un regista alle prime armi e con un cast giovane, senza importanti prove di talento alle spalle ma al contrario che in buona parte sperimenta per la prima volta il ruolo di protagonista. Ciò che ne deriva è una commedia semplice e senza pretese, adatta a una visione veloce e disimpegnata, ma nulla più.
Ogni promessa è debito...La vera "leggenda" di questo drama.
Ho sempre visto il trailer di un film/drama come una sorta di promessa, un anticipo di ciò che potrai aspettarti dalla visione.Promettere tanto e non mantenere l'impegno è peggio che promettere poco ma essere di parola. Niente lascia l'amaro in bocca quanto le aspettative disattese.
Con "Legend of the female general" mi sono ritrovata - ahimè - nel primo dei due casi: un trailer accattivante che prometteva imprese epiche e la figura di una donna straordinaria.
Non è un brutto drama - non lo è davvero - ma sulla carta doveva essere qualcos'altro. La serie abbraccia diversi genere, dal romance al wuxia, senza tralasciare scenari militari e intrighi. Ma nessuno di questi aspetti eccelle singolarmente e, nell'insieme, la leggenda diventa più di nome che di fatto.
La protagonista femminile doveva essere il perno centrale e l'idea del suo personaggio è comunque interessante: una donna forte e indipendente, tenace nell'inseguire i suoi obiettivi, che non accetta di cedere di un millimetro rispetto a quanto ottenuto con fatica, al di là del genere, del nome, del passato, dei rapporti famigliari, di tutto quanto. Una persona di valore che vuole essere riconosciuta come tale per i propri meriti, né più né meno.
Questa giovane, abile e astuta donna mostra spesso però anche atteggiamenti e moine spesso infantili, sorrisetti divertiti e/o canzonatori... Momenti simpatici, per l'amor del cielo, ma poco in linea con l'immagine di una donna che nel passato recente era riconosciuta come un grande e valoroso generale, pur spacciandosi uomo. L'addestramento al campo assomiglia spesso al ritiro di un campeggio estivo.
Discordanze di questo tipo si riscontrano anche nel protagonista maschile: attore calzante per un personaggio ben pensato, che brilla di suo ma senza voler oscurare la controparte femminile, dove ammirazione e rispetto per l'altro contano quanto il coinvolgimento sentimentale. Però anche qui ogni tanto qualcosa stride: il nostro Comandante, così intelligente, acuto e attento - capace di cogliere la natura delle persone in una frazione di secondo in base a un passo felpato o a un minimo gesto - non riconosce il cambio di persona quando il vero He Ru Fei prende il posto di He Yan: cambia la corporatura, cambia la voce - una voce che si presuppone lui conosca da anni - e lui non se ne accorge minimamente. Non solo, ritrova He Yan al tempio nel periodo in cui era cieca e successivamente ci si interfaccia giorno (e notte) al campo di addestramento e...Niente, non collega proprio i puntini. Poco coerente, davvero.
I personaggi secondari sono molti e penso che su ciascuno di loro sia stato fatto un buon lavoro di caratterizzazione, nel complesso: non c'erano figure le cui scene avrei saltato a piedi pari. Alcuni un po' stereotipati, altri più interessanti: nell'insieme si può dire che hanno fatto la loro parte.
Sul fronte del ritmo e della capacità di mantenere alta l'attenzione, qualcosa è mancato. I primi dieci episodi li ho seguiti con grande interesse, tanti i personaggi da conoscere e inquadrare, molti dei quali alle prese con mosse e contromosse, tattiche, sotterfugi e secondi fini. Alla lunga però l'impressione è stata quella di episodi sempre più lenti, meno accattivanti, con un senso di pesantezza che emergeva pian piano. Forse 33 episodi sono stati eccessivi per la vicenda narrata o forse ci sarebbero potuti anche stare ma a patto di rendere la visione più stimolante: se la curiosità va scemando, qualcosa non ha sicuramente funzionato a dovere.
Una serie partita in pompa magna, presto ridimensionata nelle aspettative, conclusa non dico per inerzia ma sicuramente con un senso di pesantezza al seguito. Sono passata da un elettrizzato "chissà cosa succederà ora!" a un monotono "va bene, è successo questo, ci sta, passiamo oltre".
Bella l'idea di una guerriera leggendaria, magari prima o poi la vedremo. Ma non in questo drama, che si lascia comunque guardare e per alcuni aspetti anche apprezzare, con un approccio di accettazione finalizzato a "passare oltre".
Un drama che non ha davvero ragione di esistere
Matematicamente parlando, questo drama si colloca nell'intersezione tra l'insieme del "già visto" e quello del "fatto male". In poche parole, una serie che non ha ragione di esistere, se non per soddisfare la smania pruriginosa di qualche fan delle BL fine a sè stesse e il cui unico obiettivo è quello di arrivare alla scena di sesso tra i due.Di fatto, questo drama è un insulto al mondo delle BL, soprattutto a quei - tanti - titoli che davvero meritano.
La storiella è banalmente ridicola, il mondo sembra popolato dal cromosoma Y (l'unica attrice sembra quasi esserci finita per caso), il fratellino studente è qualcosa di a dir poco fastidioso, l'insegnante-tutor-amante inconsistente come pochi, il fratello maggiore è un altro personaggio che non sa praticamente di nulla e la ciliegina sulla torta è il nuovo vicino vedovo che, persa la moglie al termine di una lunga malattia, non può che diventare il partner perfetto del secondo pairing gay.
Perchè io sia arrivata comunque in fondo ai nove episodi me lo sono chiesta anche più di una volta, probabilmente ogni tanto serve vedere qualcosa di veramente scadente per rivalutare tutto il resto, quasi una sorta di ri-taratura periodica.
Per quanto possa essere stato esiguo il budget, sono comunque stati soldi davvero sprecati. Un po' come il tempo per chi decidesse di guardarlo.
Una gran bella serie, ma non coinvolgente quanto il suo remake
Arrivo a questa serie dopo aver visto il suo recente remake coreano. Ho letto molte recensioni che ritenevano il remake non all'altezza dell'originale "Go ahead", ed ero quindi contenta di averli visti in ordine inverso. Paradossalmente, però, per quanto mi riguarda, mi ha coinvolta ed entusiasmata di più il recente "A prefabricated family" rispetto a questo titolo. La storia di base è la stessa, ma presenta anche diverse varianti. Dal punto di vista della trama, ho preferito il remake. Remake che è più scenografico, artefatto, studiato, rispetto a questa serie, che al contrario sembra un vero e proprio spaccato di realtà. Eppure sembra che il remake sia riuscito a coinvolgermi e ad emozionarmi molto di più, forse perchè proprio costruito con quell'obiettivo ed estremamente incentrato sul nucleo famigliare allargato, mentre in Go Ahead si ritagliando ampio spazio anche altri personaggi secondari, che può anche starci data la durata della serie ma che andavano a smorzare l'interesse tra una scena legata ai protagonisti e la successiva. Sugli attori, nulla da dire, ottimo il cast in entrambe le produzioni.In Go Ahead certe situazioni ostiche non sembrano trovare lo sfogo eclatante come nel remake: la madre depressa lo è in entrambi i casi, ma nel remake è davvero agghiacciante; la relazione tra i due giovani non viene accettata così facilmente nella serie recente, mentre qui tutto sommato non c'è un'iniziale e netta opposizione del padre di lei. Punto a sfavore di Go Ahead è l'aver accennato al triangolo amoroso, mentre nel drama coreano la questione viene presa in considerazione e quasi istantaneamente eliminata (non sono una fan dei triangoli, se non si è capito).
Credo che la versione ottimale sarebbe un mix tra le due, prendendo però più elementi dal drama coreano rispetto a questa serie cinese. Resta comunque una visione che mi sento di consigliare, seguendo però l'ordine cronologico tra le due.
Fazzoletti a portata di mano, un drama davvero imperdibile ed emozionante
Serie che - ho avuto modo di leggere - è il remake del drama "Go Ahead" e da molti non ritenuta all'altezza dell'originale. Personalmente, allora, posso solo che essere felice di aver visto questa serie per prima, così da non dover fare paragoni e poterla apprezzare pienamente. Il drama pone al centro non i consueti due protagonisti, ma un'intera famiglia "allargata": i personaggi principali sono infatti diversi e il tema dei legami è al centro della storia, unitamente alla definizione del concetto di "famiglia". Nel dettaglio si intrecciano tre famiglie intese nel senso tradizionale, tutte provate da situazioni difficili, dalla mancanza di uno dei genitori, aspetto che sembra diventare un'etichetta a vita di fronte a tutti gli altri, alla frattura non risanabile di chi ha perso una sorella/figlia, dove poi il dolore e la depressione inferiscono crudelmente, al tema dell'abbandono inaspettato e senza spiegazioni. Dalle ceneri di tutte queste "famiglie" fatte a pezzi si forma un nuovo tipo di famiglia, dove l'affetto conta più del sangue. Motore catalizzante di questo nucleo insolito e allargato è Yan Jeong Jae, interpretato da un attore che mostra sempre grandi capacità. La storia è complessa ma al tempo stesso ben equilibrata, e può essere apprezzata da diversi punti di vista: il legame che unisce i tre "fratelli", quasi a formare uno schieramento che si supporta e si difende l'un l'altro di fronte al giudizio prevenuto degli altri compagni di studi/vicini di casa; le singole vicende legate al loro passato, che riemergono l'una dopo l'altra, tra padri/madri che ricompaiono destabilizzando di volta in volta l'equilibrio a fatica raggiunto dalla "famiglia per scelta", mostrando dolorosamente come sia difficile in realtà voltare davvero pagina rispetto a certi legami e come a volte dietro al rancore palesato nell'età ormai adulta si celi un bambino sofferente ma ancora aggrappato all'illusione e alla segreta - quasi inconsapevole - speranza del ritorno della madre che lo ha abbandonato/rifiutato/incolpato. Mi è piaciuto molto come sono stati caratterizzati i tre ragazzi e soprattutto che non ci sia davvero l'ombra del classico triangolo amoroso, aspetto che non mi fa mai impazzire e che spesso trovo davvero superfluo, perchè davvero se c'è una buona trama non serve costringere i due giovani di turno a contendersi la fanciulla che completa il trio. Il loro legame evolve, tra equilibri che si frantumano e si ricompongono, vengono messi alla prova da situazioni spesso esterne e sulle quali arrivano a prendere anche posizioni differenti che li porta a uno scontro/confronto mai però definitivo o insuperabile. E' qualcosa di molto più sano e bello da guardare rispetto al cliché della rivalità che si trascina per tutta una serie per poi risolversi in modo a volte banale. Del resto, fin da piccolo, Hai Jun non si attacca in maniera specifica a Ju Won bensì vede lei e il padre come la sua nuova famiglia e per lui il grande valore e supporto è sentire di farne parte. Diverso invece il rapporto tra Ju Won e San Ha, dove già nella tenera adolescenza per San Ha è chiaro che Ju Won rappresenta per lui "la persona", quella fondamentale, che pone al centro del suo mondo. Loro due regalano anche il romance alla serie, non una storia travolgente da batticuore continuo, ma sicuramente sentita e soprattutto profonda, anche per via delle relazioni intrecciate per anni tra loro e con gli altri membri che li circondano. Ammetto che sono stati davvero molti gli episodi che sono riusciti a commuovermi, spesso per situazioni e temi molto diversi l'uno dall'altro ma che tutti si ricollegano all'importanza e profondità della relazione e dei legami tra le persone. Quindi, con una buona scorta di fazzoletti a portata di mano, una serie da non perdere, emozionante e ricca in termini di contenuti.
Bellissima serie, ma vincolata a un sequel necessario
BL made in Taiwan che ricorda tanto "Stay with me" (drama cinese del 2023), in primis per via del fatto che i protagonisti sono due adolescenti fratellastri (non consanguinei)Ho seguito con alte aspettative questa serie, molte ripagate, alcune altre un po' disattese. E' sicuramente una serie di qualità, dove i sentimenti si sentono senza bisogno di gesti epici, ma dove anche i momenti più apparentemente banali possono suscitare emozioni intense. Anche sotto questo aspetto mi ha ricordato molto la serie cinese sopracitata, ovvero nell'elegante capacità di emozionare senza dover ricorrere per forza all'esplicito.
Dato però che si tratta di una BL e non di una bromance, avrei comunque apprezzato un'evoluzione verso un rapporto di coppia: la chimica tra i due attori è notevole, riescono a far percepire il forte legame, ma nei fatti e nelle parole si procede ben poco. Dopo i primi due baci nati per gioco/ripicca, scordiamoci qualsiasi altra scena esplicitamente romantica, insomma. Certo, ci sono alcuni abbracci, alcune frasi, alcuni momenti e sguardi che trasmettono davvero molto, ma alla lunga lo spettatore qualcosa di più se lo aspetta. La storia è bella, delicata ma allo stesso tempo intensa. I personaggi protagonisti sanno farsi apprezzare fin da subito - forse tra i due un punticino in più lo strappa Tian, per quanto mi riguarda - a conferma dell'ottima prova di recitazione e di una sceneggiatura che non ha sorvolato sui dettagli.
Di contro, gli episodi sono stati troppo pochi, e molte scene non indispensabili sembravano rubare ulteriore tempo. Ad ogni puntata da una parte mi sembrava che la storia, per il ritmo e l'evoluzione, ne richiedesse ancora di più, mentre di fatto il conto alla rovescia dei 12 episodi totali andava diminuendo. Per di più nel penultimo episodio viene inserito un importante aspetto che riguarda il rapporto di Tian con il padre, elemento che trovo un po' assurdo inserire senza avere poi il tempo di gestirlo e contestualizzarlo come si deve. La serie ormai era agli sgoccioli, e invece di portare a termine le tante questioni in sospeso sembravano aggiungersene di nuove. Di fatto, appunto, la serie si conclude con tanto, ma tanto, in sospeso. L'episodio finale non può definirsi tale, assomiglia più che altro alla scena clou di un film prima dello stacco della pausa pubblicità, semmai. Invece qui la serie finisce proprio così, la scelta di Wang ha un senso ma evolve nel completo non detto (non c'è un confronto tra i due, un vero dialogo...è forse l'episodio in cui la comunicazione è ridotta davvero ai minimi termini, e stiamo parlando dell'epilogo, quindi quasi un controsenso).
Ripeto, serie bellissima - al momento forse la migliore BL del 2024 - ma che posso davvero reputare tale solo se ci sarà un seguito, altrimenti non può che essere considerata incompleta (e, no, mi spiace, ma il "finale aperto" è proprio un'altra cosa). Resto in una fiduciosa attesa del seguito - in questo caso lo considero proprio dovuto - nel quale affrontare tutto ciò che è rimasto in sospeso e vedere soprattutto il legame tra i due tradursi in una coppia concreta.
Una serie che punta a essere una "buona" serie e raggiunge l'obiettivo che si pone
Mi sono approcciata a questa serie incuriosita dalla trama, preoccupata dalla bassa valutazione e rassicurata dalle recensioni che non ne condividevano lo scarso punteggio. L'ambientazione trova il mio favore, apprezzo le serie legate al tema della criminalità/gangster ai più svariati livelli di legalità. Solo, per favore, non chiamiamola mafia, la mafia è un'altra cosa e nemmeno la serie che più prova ad avvicinarsi, ovvero "Vincenzo", può dire di averci davvero a che fare. Diciamo che il termine - abusato - in realtà riconduce per lo più a serie incentrate su boss della malavita: se la vediamo in quest'ottica, allora mi sta bene.Abbiamo appunto un boss come protagonista, a capo di un modo in cui si muove conoscendone e dettandone le regole, e l'altro protagonista che si ritrova, impreparato, in questo contesto a lui del tutto nuovo. Anche qui, nulla che non si sia già visto, ma è una carta che, se la si gioca bene, ci può stare. L'altro aspetto che sembra voler caratterizzare - almeno all'inizio - la storia, è legato alle pratiche BDSM per le quali i protagonisti hanno un evidente interesse. Sottolineo "all'inizio", perchè la precisazione è di fatto anche la critica: non ha senso introdurre un elemento che poi, incoerentemente, si perde nel corso degli episodi. C'è davvero un divario tra il taglio del primo episodio e tutti i successivi, e non può essere motivato dall'evoluzione del rapporto tra i due e dalla nascita di sentimenti profondi. Quanto meno, rispetto ad altre serie nelle quali il protagonista di turno viene totalmente snaturato, trasformandosi da freddo cubetto di ghiaccio in una "panna cotta" solo perchè si è innamorato, in questo drama fin quasi alla fine Kim è rimasto sé stesso e anche Kamol, tutto sommato, ha mantenuto livelli ancora accettabili. Già che cito i loro nomi, un appunto fastidioso: in questa serie le K e le D spopolano alla grande. Sembra un dettaglio insignificante, ma io tra Kim, Kit, Khom, Kamol inizialmente sono andata davvero in tilt, così come Day, Danai e Daniel. Di nomi ne esistono un'infinità, variare un tantino male non sarebbe stato. Attori tutti bravi, devo dire. La coppia principale ben equilibrata, ho apprezzato anche il delicato avvicinarsi tra Khom e Baiboon, anche se è eccessivo definirli una coppia. Un grosso scivolone l'ho riscontrato nell'ultimo episodio, proprio nel finale, che è a dir poco da picco glicemico tra l'incontro dei genitori di Kim e, peggio ancora, il "white nightmare" (come l'ho soprannominato io) dell'happy ending da brividi con tutti riuniti attorno a un tavolo a festeggiare i due protagonisti, ridicoli nel bianco assoluto, tra mazzi di rose e dichiarazioni plateali sdolcinate. Concludo dicendo che è una serie che comunque ho apprezzato e alla quale non mi sento di dare una valutazione inferiore rispetto a drama più rinomati, come il celebre KinnPorsche, tanto per citarne uno a tema simile. Con la differenza che l'8 dato a KinnPorsche è il risultato di una media, perchè poteva aspirare a un 10 e lode ma gli innumerevoli difetti l'hanno trascinata a un 6 di sufficienza, mentre questa serie si è posta come obiettivo 8 e fin lì è arrivata: non c'è un cast stellare, non ci sono riprese di altissimo livello o una trama complessa e ricca...C'è una serie che aspira ad essere una buona serie, né più né meno, e tale si è rivelata.
Il Genio dei tre desideri… Esauditi solo in parte
Per quanto quella del genio della lampada sia da sempre una storia indubbiamente affascinante, ho trovato particolare la scelta di farne il tema di un kdrama fin da quando questo è stato annunciato alcuni mesi fa.Abituati a serie anche ricche di fantasia e di leggende che traggono però spunto dalla cultura coreana, "Genie, make a wish" riprende invece una delle più famose novelle della celebre raccolta araba "Le mille e una notte". Fiaba quindi di origine mediorientale, ambientata in una città cinese... Ma, di nuovo, niente a che vedere con la Corea del Sud. A scatola chiusa, avrei azzardato si trattasse di una mezza proposta commerciale. Se non ho fatto centro, credo di esserci andata comunque abbastanza vicina.
Il cast è sicuramente il punto di forza della serie: quattro nomi importanti, che hanno saputo ancora una volta dare prova di grande talento. In primis i protagonisti, dove troviamo una Suzy Bae semplicemente spettacolare nel ruolo della giovane sociopatica: intrigante, credibile (anche nelle scene più violente), mai scontata. Kim Woo Bin porta invece in scena un Genio di tutto rispetto anche se - ogni tanto - davvero un po' sopra troppo sopra le righe. Resta comunque un attore che trovo da sempre molto interessante ed esteticamente singolare, la cui carriera conta tante prove meritevoli ma mai nessuna veramente eccellente (io però il potenziale continuo a vederlo...la speranza, del resto, è l'ultima a morire).
Le altre due interpretazioni degne di nota sono state le due "versioni" della nonna di Ki Ga Yeong, ovvero Kim Mi Kyung (l'indimenticabile Ahjumma di "Healer") e Ahn Jun Jin (la pluripremiata Gil Chae di "My dearest"): brave, brave, brave.
Nota dolente del drama è stato sicuramente il taglio esageratamente comico, ai limiti del grottesco. Spiacevolezza che irrompe improvvisamente già a metà del primo episodio (partendo dal Genio in preda alla nausea per essere stato agitato con troppa forza all'interno della lampada e poco dopo alle prese con la gestione di una chioma chilometrica disseminata a ricoprire pavimenti e pareti della stanza). Un effetto "farsa" che non rappresenta alcun valore aggiunto ma che, al contrario, finisce per togliere molto alla serie. Il personaggio che più viene penalizzato, in questo senso, è Iblis: innumerevoli sono i suoi urletti spaventati, le gag da sit-com, le reazioni esageratamente buffe o bizzarre. Quale Genio era già di suo un personaggio particolare, al suo fianco poi una protagonista caratterialmente unica e fuori dagli schemi... Non c'era davvero bisogno di calcare ulteriormente, col rischio - come è stato - di sconfinare nell'eccesso.
Devo dire che con il passare degli episodi c'è una leggera attenuazione a favore di una vicenda che punta a farsi via via sempre più carica di significato. Ci sono momenti intensi e struggenti capaci di far versare qualche lacrima, e la bella sintonia tra i protagonisti riesce a regalare scene romantiche gratificanti. Qua e là si può anche abbozzare una lettura più profonda, che sembra voler suggerire riflessioni anche importanti.
Il limite, però, è per l'appunto il "qua e là". Ci sono passaggi meritevoli, ma disseminati un po' a macchia di leopardo, momenti apprezzabili ma incapaci di creare un unico filo conduttore di qualità quale spina dorsale della storia.
INIZIO SPOILER!
Buona l’idea del finale, un happy ending che però fa una scelta diversa dalla prevedibile trasformazione di lui in un essere umano, elemento già visto innumerevoli volte.
FINE SPOILER!!!
Complessivamente è una visione piacevole, capace di toccare in alcuni casi la corda giusta ma anche rea di diverse stonature. Non è il drama che resta nel cuore, quello proprio no. Ma se il desiderio è quello di passare qualche ora alle prese con un romance e una storia graziosi seppur non sconvolgenti, allora probabilmente sarà esaudito.
Non una serie indimenticabile, ma che centra in pieno il proprio obiettivo.
Bella...ma non eccezionale. Sicuramente una serie riuscita, curata e ben confezionata.Non è il primo drama medico che mette al centro un dottore dalle abilità straordinarie (Doctor Prisoner, Doctor Stranger, Doctor John, D-Day, Romantic Doctor, ecc.) e non sarà certo l'ultimo.
Due, a mio avviso, le carte vincenti:
1) aver puntato al "poco ma fatto bene", sia in termini di durata, dove gli otto episodi sono giusti per il tipo di trama che si vuole sviluppare, sia in termini di contenuti, dove di sceglie di non intrecciare altri "fili" - dal romance, al thriller, piuttosto che complesse risoluzioni di eventi passati - e si punta a offrire uno spaccato focalizzato sul rapporto mentore-tirocinante e, contemporaneamente, a ripristinare - anzi, a ricostruire da zero - un servizio medico fondamentale, che sottolinea come il ruolo dei medici sia in primis quello di salvare vite umane ma che, troppo spesso, tende invece col tempo a diventare una mera questione burocratica fatta di cifre e prospettive di carriera.
Non è un crimine non avere una trama lunga e ricca di intrecci. Il punto non è la complessità di un drama, ma la sua qualità. Meglio una serie che non punta a diventare una pietra miliare ma che è fatta bene, piuttosto di una che aspira all'eccellenza ma nel concreto poi fa acqua da tutte le parti.
2) l'attore protagonista, decisamente performante e capace di catalizzare a sè lo sguardo curioso dello spettatore per tutta la durata del drama. E' stata anche l'occasione per rivalutare Joo Ji Hoon, attore che ho recentemente conosciuto nella serie "Love your enemy" dove davvero mi aveva fatto una pessima impressione. E' incredibile come una sceneggiatura mediocre e un ruolo inadatto possano aver penalizzato un attore che in questa serie non solo dimostra di starci dentro, ma lo fa anche molto bene.
Concludo sicuramente consigliandone la visione: non sarà il drama indimenticabile e ricco di contenuti che si posizionerà in cima alla classifica dei preferiti di sempre, ma resta indubbiamente una serie accattivante e alla quale non serve destinare un significativo investimento in termini di tempo.
La Colombia fa da sfondo a una lotta tra potere e sopravvivenza nella quale perdere sé stessi
Come per "My name is Loh Kiwan" la presenza di Song Joong Ki è stato il motivo principale per il quale ho visto questo film. Tra l'altro ho trovato diverse similitudini tra i due: l'ambientazione lontano dalla Corea, lui che parte da una situazione di svantaggio (qui è un espatriato, nel film precedente un rifugiato) e un protagonista il cui spessore è più nell'aspetto introspettivo che in quello estetico (dimentichiamoci l'aitante capitano delle forze speciali de "I discendenti del sole", piuttosto, come in Loh Kiwan, abbiamo a che fare con un taglio di capelli inizialmente trascurato, un abbigliamento spesso trasandato e un volto che è tutto fuorchè perfetto, dagli occhi spesso arrossati alle lentiggini - nell'altro film erano dei nei - che costellano gli zigomi dell'attore)Ero curiosa di vedere "Bogotà" ma al contempo scettica per via dei vari rimandi non propriamente entusiasti (pare che sia stato un mezzo flop al botteghino). E invece devo dire che mi è piaciuto.
Non una prova eccellente ma comunque un film che ci sta. La prima parte mi è piaciuta molto: l'arrivo della famiglia in Colombia - inizialmente vista come transito per gli USA - alla ricerca di una vita migliore, l'ambiente completamente diverso negli usi e costumi (emblematico quando appena arrivato Guk Hui insegue il borseggiatore, per poi sentirsi dire che "Non sei in Corea, qui se insegui il tizio che ti ha derubato finisci nei guai"). Un mondo diverso, oltre che una lingua diversa. Mentre la famiglia si disgrega - il padre, elemento fallimentare, si autoelimina da solo dandosi all'alcolismo - il giovane Guk Hui si da da fare partendo dal basso, con determinazione e costanza, e animato da un modo di approcciarsi diverso dagli altri e che salta subito all'occhio del "Sergente" Park, contrabbandiere coreano da anni e di fatto a capo dei commercianti coreani della città. Park, insieme al suo sottoposto Su Yeong (che a un certo punto cercherà di smarcarsi e mettersi in proprio con gli affari), rapprensentano le due figure di riferimento per Guk Hui: osservandoli imparerà le regole non scritte dell'ambiente, sarà per loro un valido elemento ma mai completamente degno di fiducia e a sua volta lavorerà per loro senza mai affidarsi completamente. Più che altro, direi che li studia. Impara la lingua, impara come funziona il giro del contrabbando, partendo dal gradino più basso e scalando via via "i sei mondi". Se inizialmente spera di poter tornare in un futuro in Corea (quando rifiuta lo stupefacente offertogli dal collega perchè "in Corea è illegale", è indice di come veda la Colombia solo come un periodo di passaggio nella sua vita), col passare del tempo la voglia di tornare nella sua terra d'origine - dalla quale se ne era andato povero in canna - lascia il posto all'assuefazione per la bella vita che ora conduce (dove può permettersi di brindare a bordo di una piscina sul tetto di un palazzo e con vista mozzafiato, ricevendo in regalo nientemeno che un rolex). E' un primo segnale di svolta, il cambio di obiettivi e di prospettiva. Tenendo un profilo basso ha fatto esperienza, ha studiato tutto ciò che lo circonda e sa di possedere delle buone capacità. Eppure, manca qualcosa. E lo comprende quando il padre muore dopo aver cercato di sottrargli dei soldi che Guk Hui era incaricato di utilizzare per un'operazione di contrabbando. Quel momento rappresenta, nel concreto, il giro di boa: lui è già cambiato, ma è solo in quel momento che il suo cambiamento diventa palese a tutti. Questo perchè capisce che non basta l'esperienza e la capacità, se di fatto non lo temono. L'intimidazione prende il via con l'uccisione del tizio che a sua volta aveva cercato di eliminarlo. Da quel momento in poi - sergente Park compreso, che per un attimo appare addirittura intimorito - diventa chiaro a tutti che con Guk Hui non si scherza. Da lì la sua ascesa è rapida, Park sembra ormai una figura in procinto di cadere dal suo trono e l'allora mentore Su Yeong si trova suo malgrado e non senza malcelata invidia a dover accettare l'autorità di Guk Hui. Ci ritroviamo quindi di fronte a un protagonista che viaggia in prima classe e veste abiti fatti su misura, il suo viaggio in Corea viene citato ma non gli viene dedicata una scena che sia una (quasi a sottolineare che, ormai, la terra di origine non ha più un significato per lui). Il tentantivo di progettare un centro commerciale con negozi che seguano le regole sfuma, Su Yeong riesce a far leva sulle ormai radicate abitudini dei commercianti coreani per minare l'autorità di Guk Hui. In risposta, tornerà a fare ricorso all'aspetto intimidatorio, ma in modo diverso rispetto al passato: metterà in scena un finto attentato a sè stesso, cosa che inizialmente nessuno comprenderà, poichè del resto molti sono quelli che, potendo, avrebbero piacere di eliminarlo. E' una mossa rischiosa ma arguta, che da una parte gli premette di riconfermarsi a capo del territorio e dall'altra di far venire a galla gli elementi di cui è ormai giunta ora di liberarsi (sentendosi i primi sospettati dell'attentato - poichè di fondo ne avrebbero l'intenzione - scappano timorosi di una sua ritorsione). E' così che giunge la fine per Su Yeong, ormai consumato dall'invidia per non essere stato in grado di aver scalato "i mondi" come Guk Hui ha saputo invece fare. L'averlo accolto anni prima sotto la propria ala è ormai un lontano ricordo, non può esserci fiducia, solo un pugnalarsi alle spalle. Stesso discorso per il sergente Park, che fa una mossa più scaltra ma alla quale il protagonista era già preparato. Emblematica la scena finale, con lui che ha eliminato tutti coloro che gli stavano vicino ma dei quali non si poteva fidare, che osserva il panorama dall'alto. Ha raggiunto il sesto mondo, è potente, la gente lo teme. Ma è solo. Anche il ragazzo che era, il giorno del suo arrivo, inseguendo il borseggiatore, si era ritrovato in cima a un promontorio con un'ampia veduta davanti. Stessa scena, stesso nome, diversa persona. Non è più il ragazzo che era appena arrivato dalla Corea, ha preso una strada a senso unico, entrando a far parte di un sistema che non può più lasciare per riabbracciare i sogni del passato: le sue uniche opzioni ora sono sopravvivere e dominare o soccombere.
A livello di recitazione, davvero un cast molto valido, anche al di là del protagonista. Song Joong Ki, per la seconda volta dopo Loh Kiwan, riesce ad annullare qualsiasi attenzione all'aspetto estetico dando spazio al lato introspettivo del personaggio. Credo che sia l'ennesima prova della grande versatilità di questo attore - la cui fama internazionale certo è legata a drama come "I discendenti del sole" e "Vincenzo" - ma che sa abbandonare il ruolo del bello forte e fascinoso per dare vita a personaggi decisamente meno scontati e più difficili da interpretare (per fare un paragone, anche Ji Chang Wook ha tentato delle pellicole diverse dai suoi celeberrimi "Healer" o "Suspicious Partner", ma i risultati sono stati piuttosto deludenti).
Unica considerazione, inizia a farmi un po' strano vederlo impersonare giovani poco più che adolescenti. Vero che gli attori asiatici spesso camuffano bene l'età reale e vero che Song Joong Ki ha un volto da eterno ragazzo. Ma siamo alla soglia dei quaranta, scaliamone pure una decina o poco più, ma quando all'inizio del film si spaccia per un diciottenne... E' credibile solo fino a un certo punto.
Nulla da dire sulla sceneggiatura. Avrei tolto forse qualche scena - ripetuta - dei controlli dei camion ai posti di blocco, a favore di qualche passaggio in più nella sua scalata al potere iniziata con la morte del padre.
In conclusione, non un film che passerà alla storia, ma senz'altro un prodotto originale - difficile confondere la sua trama con quella di altri film/drama - ben interpretato e interessante.
Una serie che aspirava a distinguersi ma che ha puntato a un obiettivo di fatto non ben definito.
Titolo singolare e avvio promettente. Se il bullismo per il sovrappeso è cosa già vista, la discriminazione etnica non è così frequente nei drama asiatici (la protagonista viene giudicata per via della madre, dalla quale peraltro ha ereditato l’insolito colore degli occhi, i capelli e le lentiggini). La serie prende il via con i due adolescenti emarginati, apparentemente legati da un’amicizia grazie alla quale si sostengono a vicenda. All’insaputa di lui, lei è però in procinto di voltare pagina e ricominciare una nuova vita a Seul: nell’addio ci scappa la prima volta di entrambi.Dal secondo episodio si ha il salto temporale in avanti di anni, lei che torna per un funerale, i due che si incontrano: lui, ora un uomo affascinante, senza più occhiali e chili di troppo, ancora palesemente innamorato di lei, sembra aver vissuto in un’eterna e inconcludente attesa. Lei si ritrova catapultata nella realtà dalla quale era fuggita, dal rapporto difficile col padre alla cerchia di persone che conoscono la sua storia e che, dedite ai pregiudizi, la fanno sentire ancora etichettata e giudicata come un tempo. Lei, quindi, è combattuta tra una situazione che non è mai riuscita ad affrontare e il sentimento per Yeon Su. Con lui c’è un continuo rincorrersi a vicenda dettato da un pessimo tempismo (meccanismo che può avere senso una prima volta ma che proposto così a ripetizione stufa). Lei risulta molto capricciosa: lo allontana ma poi lo cerca, pretende rimangano solo amici ma non disdegna effusioni. Lui subisce, da sempre e apparentemente per sempre: praticamente è in balia di lei e dei suoi mood quotidiani. Verso la fine, un aneddoto – evitabile – su un episodio cruciale del loro comune passato torna a galla e diventa l’ennesimo ed ultimo ostacolo di questo tira e molla infinito. Ovviamente si rivelerà superabile, dipanando alcuni dubbi legati al passato e lascerà spazio a una conclusione abbastanza scontata.
A conti fatti, la parte forse più emozionante è quella legata al rapporto padre-figlia, che concentra negli ultimissimi episodi un vero e proprio sviluppo tra questioni passate e prospettive future
Il cast non mi ha entusiasmata. Conoscevo già l’attrice protagonista, molto apprezzata in altri drama, ma devo ammettere che le sue interpretazioni iniziano a sembrarmi un po’ tutte simili.
A livello di musiche, “Here I am” meritevole di finire nella mia playlist.
Tirando le somme, “Motel California” – e a questo punto ci si chiede il perché di questo titolo, già che non ha avuto alcun significato particolare se non la denominazione dell’albergo di famiglia – sembra inizialmente promettere un viaggio verso una destinazione nuova, salvo poi perdersi per strada e non arrivare di fatto da nessuna parte. Non è nemmeno brutto, sicuramente in certi meccanismi è molto ripetitivo, ma il vero problema è che arrivati alla fine lo si archivia come quella serie vista ma già pronta per essere dimenticata e che non si avrà certo voglia di rivedere una seconda volta.
Serie che preme il grilletto senza esitazione, ma non centra del tutto il bersaglio
Drama che preme subito il grilletto ed entra nel vivo della vicenda fin dal primo episodio. Trigger - "grilletto", per l'appunto - è un thriller incentrato sulla diffusione illegale di armi da fuoco, in un Paese dove alla popolazione non è permesso nè l'uso nè la detenzione.Siamo in un contesto investigativo-poliziesco, il protagonista è un poliziotto interpretato da un attore che non conoscevo e che, di primo acchito, mi convinceva poco - forse perchè poco carismatico e vagamente anonimo - ma che si è rivelato poi performante rispetto al ruolo interpretato. Una buona scelta, dunque.
Fin dal primo episodio appare chiaro che il cast è stato selezionato con cura, soprattutto se si considerano alcuni personaggi secondari, dove ho ritrovato con piacere alcuni attori che hanno vestito i panni delle figure secondarie in molti drama di successo: parlo di Kim Won Hae, Jo Han Chul e Jung Woon In. Ma la vera punta di diamante entra in scena dopo qualche episodio, con un Kim Young Kwang accattivante (come già dato prova in Evilive) e che porta in scena un personaggio davvero complesso e imprevedibile. Il suo Moon Baek sembra saltato fuori dal nulla, stravagante e carismatico, affascinante e un po' spiazzante. Si empatizza subito con il nuovo personaggio che diventa compagno quasi casuale nelle indagini portate avanti dal Lee Do, al contrario sempre un po' ingessato, dando vita a un duo interessante e a tratti anche divertente. Ma Trigger è anche un drama dagli imprevedibili colpi di scena, per cui Moon Baek non solo fa il suo ingresso in ritardo ma fa scoprire - episodio dopo episodio - una realtà ben diversa. E insieme a un passato veramente pesante entra in scena anche il suo singolare occhio azzurro, con tutto ciò che concerne la sua vera identità.
Il tema centrale del drama sa quasi di esperimento volto a confermare una precisa teoria: chiunque, se sottoposto alla giusta pressione, scoppia. Le pressioni e fonti di stress sono varie e molteplici, dal bullismo (i ragazzi a scuola) alla non considerazione (la vecchia signora che ha perso il figlio, piuttosto che lo studente universitario dei primi episodi), passando per soprusi di diverso genere, desiderio di vendetta per un ingiustizia subita, e via dicendo. Non c'è distinzione tra buoni e cattivi, il punto di rottura viene oltrepassato dal mite studente accademico così come dallo stupratore agli arresti domiciliari, dal giovane adolescente vittima di bullismo alla madre che strenuamente protesta pacificamente per chiedere giustizia per la morte del figlio, fino addirittura al padre putativo del protagonista, un poliziotto ormai sulla soglia della pensione che tempo addietro aveva mostrato al piccolo orfano animato da rabbia e vendetta per lo sterminio della famiglia che la strada giusta era un'altra, crescendolo come un figlio.
Questo, sostanzialmente, rappresenta però il credo di Moon Baek, un giovane disilluso, abbandonato fin dalla nascita a una vita di atroci angherie, animato da un indomabile desiderio di vendetta che lo rende figura perfetta sulla quale investire da parte di un potente trafficante d'armi. Una vita senza un briciolo d'amore, da parte di nessuno, ma solo dolore, nel passato, nel presente e anche in quel poco che resta del futuro minato da una malattia terminale. E' un cattivo? Direi proprio di sì. L'espressione compiaciuta con cui osserva il malcapitato di turno imbracciare il fucile e compiere di punto in bianco una mezza strage è qualcosa ai limiti del sadico. Ma è anche un uomo che fa indubbiamente pena, un giovane intelligente che non ha avuto una solo chance nella vita e il cui unico desiderio prima di spegnersi definitivamente e sparire nel più completo anonimato - perchè nessuno si ricorderà di lui - è proprio il verificare la sua teoria, dimostrare che un altro tipo di vita non l'ha avuta perchè di fatto non era possibile: chiunque, portato al limite, finisce per reagire superandolo. In questo senso il suo disprezzo verso il poliziotto protagonista è massimo: una figura che sembra volta all'integrità, ma che in passato ha mancato di coerenza, arrivando a uccidere nel periodo passato nell'esercito, quasi uno sfogo per il massacro della famiglia vissuto da bambino.
Il finale, ovviamente, mostrerà che la teoria è sbagliata: nessuno è immune alle conseguenze potenzialmente violente di un crollo nervoso, ma lo si può affrontare e, in alcuni casi, contrastare o aiutare gli altri a fermarsi in tempo. Moon Baek non vedrà tutto questo, la sua è una strada a senso unico senza possibilità di retromarcia, il suo triste destino segnato da tempo. Per Lee Do la conferma invece di aver intrapreso la giusta direzione, nonostante un passato difficile e il ritrovarsi, a volte, ancora combattuto.
Bella l'idea, bella la storia, bravi gli attori. Scenografia curata, musiche non particolarmente memorabili. Complice una regia forse un po' ancora troppo acerba, il drama, dopo un buon decollo, sembra non riuscire a mantenere la quota costante. L'impressione è che nella seconda parte si potesse osare qualcosa di più, mentre invece si è andati un po' in fatica, chiudendo le molte parentesi aperte in modo un po' troppo scontato. Grilletto premuto con convinzione, ma bersaglio non propriamente centrato.
E' comunque una serie che reputo meritevole e che mi sento di consigliare, anche solo per il calibro degli attori presenti.
Una serie che regala una prospettiva diversa dal solito ma che emoziona solo fino a un certo punto.
Sarò sincera, l’inizio mi aveva convinta poco. Benchè mi piacesse l’idea di un padre single quale protagonista, la caratterizzazione dei due personaggi principali non mi rassicurava: lei non era solo fredda e distaccata, tutta lavoro ed empatia zero, ma risultava proprio antipatica. Lui, pur apprezzandone la determinazione nell’essere in primis un bravo papà a costo di mettere in stand-by la carriera professionale, mi risultava davvero insipido e piatto.Una volta diventato suo assistente, già mi figuravo uno zerbino a tutto spiano. E invece, a quel punto, una svolta: lei non si trasforma in un concentrato di simpatia, ma diventa più tollerabile mentre lui, nonostante il ruolo da sottoposto, emerge come un vero e proprio punto di riferimento. Equilibrato, determinato ma non in modo arrogante, forte di una sicurezza che non punta ad apparire, bensì ad “esserci” e che deriva ovviamente dall’aver allevato da solo una figlia.
Mentre Kang Ji Yun inizia a mostrare a lui e allo spettatore un lato più fragile e insicuro di sé, Eun Ho diventa sempre più la sua colonna portante. Anche la relazione – nata per caso – con la figlia di lui evolve nella giusta direzione. Ji Yun comprende quanto vuota e fredda sia stata la sua vita prima dell’entrata in scena dei Eun Ho e Byeol, Eun Ho si concede di desiderare qualcosa per sé che vada oltre all’essere orgogliosamente padre, aspetto che sembra essere colto anche dalla figlia, che non fa ostruzione alla coppia ma, anzi, l’accoglie con serenità.
Avrei forse evitato la coincidenza che lega Eun Ho, il defunto padre di lei e la stessa Ji Yun: sa tanto di classico clichè dei drama asiatici, che promuovono spesso collegamenti risalenti all’infanzia. Posso però capire che, senza questo spunto, sarebbe stato poco credibile che – tutto ad un tratto – Ji Yun potesse superare il blocco legato alla traumatica perdita del padre che l’ha poi condizionata per tutta la vita. Finale prevedibile, ma giusto e credibile per la storia portata avanti.
Secondo pairing non particolarmente degno di nota e i cattivi della serie non sono dei cattivi di tutto rispetto (ci sono drama in cui anche l’antagonista sa farsi apprezzare nella sua veste da cattivo, ma non è proprio questo il caso).
Nonostante riconosca a questo drama un approccio un po’ diverso dal solito, un’attenzione verso il valore dei rapporti e delle relazioni che vanno ben oltre la singola coppia protagonista… Mi ritrovo a dare, pur con relativo dispiacere, una valutazione semplicemente buona. Questo perché dal punto di vista del coinvolgimento si è rivelata una serie piuttosto carente: l’ho trovata concettualmente bella ma non è riuscita a emozionarmi…non mi sono commossa, non mi ha fatto sorridere.
Resta comunque una buona serie, ben fatta ma – per quel che mi riguarda - non molto appassionante.
Un inno alla vita reso magnificamente da un cast d'eccellenza
Questa è una serie di un’eleganza e di un'autenticità a dir poco struggenti. Un piccolo capolavoro che aspettavo da tempo e che per certi versi un po’ temevo. Perché Namgoong Min è in assoluto il mio attore preferito, una recitazione di altissimo livello e un talento nel dare vita a personaggi memorabili ed estremamente diversi tra di loro. Al suo fianco una formidabile Jeon Yeo Bin, che dopo l’ottima prova in “Vincenzo” qui davvero supera sé stessa. Inutile dire che messi assieme hanno saputo regalare una prova davvero indimenticabile.Sapevo che la storia ruotava attorno al tema di una malattia terminale, argomento che non mi fa solitamente impazzire perché non amo immergermi nella tristezza. Conoscendo le capacità di Namgoong Min, era anche chiaro non ci sarebbero state mezze misure, per cui emotivamente sarebbe stato davvero impattante e travolgente. E così è stato.
Il ritmo della storia non ha bisogno di essere incalzante per mantenere alta l’attenzione ma può prendersi il suo tempo, anche rallentare, per infondere significato in ogni passaggio e in ogni scena. Le banalità sono bandite, qualsiasi cliché scontato anche. Non c’è una trama contorta, riempita da una miriade di svolte impreviste e colpi di scena, semplicemente perché non ce ne è affatto bisogno. Non si fa volutamente leva sui sentimenti dello spettatore, forzandoli, ma questi emergono naturalmente davanti a una storia che si mostra nella sua totale autenticità e grazie al sopracitato talento degli attori principali che hanno evidentemente portato avanti uno studio attento e approfondito dei personaggi interpretati. La mancanza di artificiosità promuove una tristezza di un’intensità sorprendente: a catturare lo spettatore non è tanto una bella trama, ma una pioggia di emozioni alle quali è impossibile sfuggire. Tanti sono i livelli che si sovrappongono nel quadro generale, tante emozioni e storie, tanti ruoli e personaggi. Se l’aspetto più rilevante e di impatto è la malattia terminale di lei, si affiancano poi tantissimi altri nodi più o meno grandi, più o meno vecchi, da sciogliere con cura. C’è il passato di Lee Ji Ha, la perdita della madre, il difficile e contorto rapporto con il padre, le convinzioni che l’hanno condizionato praticamente per tutto l'arco intero della vita, influenzando i suoi rapporti con gli altri. C’è il padre di Lee Da Eum, sopravvissuto a un grande lutto e che convive con la consapevolezza di doverne affrontare a breve un altro. A loro si affiancano svariati personaggi secondari - dal produttore all'amica al manager all'ex rivale in amore - nessuno messo lì a caso. Non c’è un vero cattivo, siamo ben oltre la banale e semplicistica distinzione tra bene e male. Ci sono solo persone, con i loro problemi, le loro difficoltà, i loro pregi e difetti e la loro possibilità di crescita personale. Una moltitudine di sfumature di grigio che virano di continuo tra tonalità più chiare e più scure.
"Our Movie" è una serie che fa amare la vita, per davvero, con anche tutto il carico di sofferenza che comporta. Titolo azzeccato e con più significati oltre a quello più scontato, perché la pellicola che viene girata è una sorta di “Film dentro il film”, dentro quella storia dove ciascuno è attore e che si chiama vita. Strepitosa la caratterizzazione di Lee Da Eum, capace di alleggerire un ruolo altresì monotono con numerosi momenti di brio, freschezza e ironia. Una singolarità caratteriale luminosa e vivida, che riesce davvero bene all’attrice (anche in Vincenzo il suo personaggio mostrava aspetti decisamente non convenzionali). Altrettanto complesso il personaggio di Lee Je Ha, la sua evoluzione è davvero importante, il tornado emotivo che attraversa e la presa di una nuova consapevolezza che darà una nuova svolta alla sua vita si avverte in maniera nitida ed inequivocabile, così come le incertezze che deve affrontare, un amore al quale non si può sottrarre ma che deve anche riconoscere e accettare, in tutta la sua splendida e dolorosa bellezza. A quel punto si coglie l’essenza stessa del sentimento, non esiste più malattia, e il poco tempo che resta e che scorre fin troppo velocemente diventa solo…tempo. Tutto passa in secondo piano. Un vero e proprio inno alla vita.
Regia ottima, scenografia e fotografia di alto livello, musiche pensate ad hoc. Non si seguono mode, non si ricerca la perfezione o il grande effetto visivo: la sigla da sola parla chiaro. Un tocco da maestro sono anche alcune serie di fotogrammi in bianco e nero, oltre a inquadrature davvero cariche di un significato che non viene buttato in faccia allo spettatore, ma che si mostra nella sua semplicità. C’è da commuoversi anche solo per la bellezza tecnica dell’opera, dico davvero.
Il finale è perfetto, degna e giusta conclusione che non si lascia tentare da soluzioni prevedibili, magari anche piacevoli per il pubblico, ma che a conti fatti andrebbero a stridere con il senso di tutto quanto fatto. Namgoong Min arriva davvero al cuore, nelle ultime scene, con quell’elegante compostezza che da sempre lo contraddistingue, con il suo timbro di voce, calmo e profondo, e un’espressività che vale più di mille parole.
Ho pianto, molto. Non amo piangere per la tristezza, solitamente evito i drama di questo genere ma in questo caso davvero non potevo non vederlo.
Una serie, questa, che non credo verrà apprezzata appieno su larga scala, poiché bisogna essere disposti a soffrire con essa e a mettere da parte la ricerca di soddisfazioni facili e immediate, per quanto decisamente meno persistenti: gli avventori del “tutto e subito” la troveranno probabilmente lenta e noiosa, ci sta. Io stessa a volte ricerco visioni più leggere e meno impegnative, attendevo da tempo l’uscita di questa serie ma per apprezzarla a dovere ho aspettato di essere nel “mood” giusto.
Non posso che consigliarla, a chi ha voglia di cimentarsi in qualcosa di originale e stupendo, mettendo in stand-by “il solito” e accettando l’idea di gustarsi per una volta qualcosa di davvero diverso. Con il giusto approccio, non si può che rimanerne incantati.
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